Attivazioni Biologiche

Ectoderma, le relazioni e le migrazioni

Perla saggia:
Una gran parte di quello che i medici sanno
è insegnato loro dai malati.

Marcel Proust

Andrò a Torino per fare la mia parte nella grande iniziativa di un amico medico, la Medicina dell'Essere, e in quella sede avrò l'onore e il piacere di parlare di Ectoderma che, per chi frequenta questo sito, non è argomento che necessiti di spiegazioni.
Tra gli argomenti che tratterò ci sarà la Ragione Biologica che ha portato alla creazione del foglietto embrionale ectodermico. Fino a qualche giorno fa non avevo considerato il fenomeno migratorio e i meccanismi di riconoscimento e identificazione dei vari componenti della massa migratoria.
È importante tenere a mente questa nozione:
Mentre nei tessuti endodermici, la stimolazione alla reazione di essi è determinata dalla quantità/qualità di ciò che è vitale (stimolo grossolano), nell'ectoderma la reazione è indotta dalla identità/identificabilità di ciò che è vitale (stimolo sottile).
Ad esempio, l'occhio. Se per l'occhio endodermico è importante sapere se c'è luce oppure no, nell'occhio ectodermico è importante sapere che tipo di luce è e se in essa ci sono segnali identificativi ed identificabili. Se per l'orecchio endodermico conta la presenza o l'assenza del suono, nell'orecchio ectodermico è importante sapere quale tipo di suono è, da dove viene, cosa indica e cosa significa.

Tornando al fenomeno migratorio, pensiamo ai giganteschi branchi di Gnu, o di bisonti o di uccelli che viaggiano per molti chilometri in gruppo. Essi sanno in ogni momento e in ogni caso riconoscersi, sia per giungere collettivamente all'obiettivo, che per difendersi. Sanno riconoscere il Se' collettivo, quale organismo fatto di organismi, che il Non se' come organismo estraneo.
Come lo fanno?

Emissioni odorose, toccamenti, suoni, vibrazioni, colori sono i mezzi che usano gli animali per comunicare e se c'è un trasmittente, c'è anche un ricevente con cui dialogare, perché chi trasmette è al tempo stesso un ricevente. Dialogare non corrisponde solo ad un esercizio educato della comunicazione, ma il dialogo può coinvolgere minacce.
Come gli animali, anche l'uomo nel proprio ambito sa distinguere ogni singolo membro del suo gruppo o se qualcuno non vi appartiene, attuando variazioni di risposta in base a diversi fattori. Se vediamo avvicinarsi un membro della nostra famiglia appare spontaneo aprire le braccia per accoglierlo, ma se quella persona non appartiene alla famiglia, mettiamo in opera gesti e atteggiamenti che sono anzitutto indagatori.
Occorre tenere in conto che ogni gruppo/clan mette in campo dei segnali che per altri possono avere significati anche opposti. Il sorridere mostrando i denti è, negli umani, un segnale di pace e amicizia, ma per un lupo il vedere i denti dell'altro lupo, può significare ben altro.
Allo stesso modo odori e suoni sono efficaci per gli animali notturni o per quelli che non possono godere della vista. Per chi ha modo di avere una ampia veduta è più importante cogliere o trasmettere segnali visivi.
Talora specie diverse convivono e per supportarsi a vicenda, impiegano segnali che sono reciprocamente comprensibili, come l'abbaiare del cane che avvisa gli umani che qualcosa è variato.


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Il linguaggio chimico è basato sull'emissione di sostanze odorose chiamate feromoni, spesso impiegati dal maschio per delimitare i confini del luogo in cui vive, evitando così scontri diretti con altri maschi. Negli insetti che vivono in gruppo i segnali chimici sono indispensabili; come per le formiche che lasciano tracce odorose per segnalare alle altre il percorso, come per le api che hanno un loro specifico odore del proprio alveare, in modo che api estranee possano essere subito individuate e scacciate.

Per gli umani i messaggi visivi più efficaci sono i gesti, le espressioni del volto e la sua geometria. Per gli animali possono avere grande importanza le forme, i disegni e i colori presenti in alcune parti del corpo. Usati per "accalappiare" il partner a fini di accoppiamento, possono essere impiegati come segnali di allarme (come il rosso) o di minaccia (i colori mutevoli dei bargigli del tacchino). Diversamente dal maschio del pavone, che mette in vista una bellissima coda "da richiamo", la femmina e i piccoli sono di colore marroncino, utile a fini mimetici di protezione.
Negli umani il vestiario è un sistema usato per diversissimi scopi e in ogni caso risponde ad un bisogno di sopravvivere ai diversi input della vita.

A proposito di dimensioni e dominanza, molti animali che incontrano un non appartenente al clan, tendono a mettere in atto meccanismi tali per cui la loro dimensione visiva aumenti (arruffamento del pelo) offrendo quindi un segnale di minaccia e possenza, a cui spesso si associa l'emissione di suoni particolari e ad alto volume.
Allo stesso tempo, quando l'animale si sente dominato e in pericolo, mette la coda tra le zampe posteriori o abbassa il capo per segnalare la propria cedevolezza e sottomissione. È quindi importante capire che nell'immenso mondo dei segnali non verbali, le capacità cerebrali devono essere particolarmente efficaci e rapide.

Il foglietto ectodermico attua, in ultima analisi, la sintonia fine nel vastissimo mondo delle relazioni, essendo interessato alla specificità dei segnali ed al loro selezionamento. Quindi, dovendo tener conto di ciò che entra, per poter regolare al meglio ciò che esce, le strutture ectodermiche necessitano di un centro di controllo di vastità senza precedenti, rispetto ai centri di controllo degli altri foglietti embrionali e relativi organi e tessuti. Si è quindi sviluppata la corteccia cerebrale in grado di gestire e immagazzinare una quantità enorme di informazioni, in ingresso e in uscita. La complessissima gestione ed elaborazione dei segnali ha imposto un aumento della quantità di materia neuronale, costringendo alla formazione delle numerosissime circonvoluzioni corticali che aumentano di molto la superficie cerebrale, pur essendo contenuta nella scatola cranica.
Basta osservare gli animali per avere conferma della sofisticazione ectodermica.
Quando mettiamo un gattino di fronte ad uno specchio, immediatamente il cucciolo inizierà ad inveire e minacciare l'altro se' stesso riflesso nello specchio. In questo caso si tratta di istinto primario al di fuori dell'esperienza soggettiva (è un comportamento innato).
Perché lo fa?
Perché il suo cervello percepisce un altro essere vivente da cui non giunge alcun segnale amichevole, quindi preventivamente è considerato un nemico e questo a fini cautelativi. Se questo esperimento lo si ripete svariate volte, il gattino avrà via via una risposta più moderata fino a non percepire più la minaccia e questo fenomeno si chiama apprendimento ed esperienza.
Nelle sue manifestazioni repulsive il micino applica una certa progressione minacciosa, ribadendo la propria identità, il proprio territorio e la propria capacità relazionale. Non va infatti trascurato il fatto che anche nel minacciare l'avversario, viene sempre riservato il tempo per comunicare e relazionarsi.
L'aggressività non è di fatto e aprioristicamente cieca e/o negativa. Secondo Lorenz è un istinto alla radice della socialità: le schermaglie, le minacce e persino le lotte sono spesso solo mimate e raramente giungono a conseguenze dannose per i contendenti, in quanto esistono meccanismi frenanti, quali la resa, la pacificazione, la subordinazione che interrompono tempestivamente le ostilità.


Tento quindi di illustrare come agisce il cervello ectodermico - rimanendo nell'esempio del gattino di cui sopra - conscio che si tratta di una illustrazione parziale e grossolana, ma credo utile a comprendere parzialmente quale sia la vastità dell'argomento.
  1. Percezione interspecifica o extraspecifica dell'altro: ovvero percezione che l'altro fa parte della stessa specie o di un'altra specie, nell'ambito dello stesso regno. Per intenderci, il gattino non aggredisce la cornice dello specchio per difendere il territorio;
  2. Nel contesto dell'interspecie, percezione della appartenenza o non appartenenza allo stesso gruppo o famiglia. Nell'extraspecie, percezione se sia una preda o un predatore;
  3. Percezione della diversità dell'altro rispetto a ciò che viene considerato amichevole/accettabile o minaccioso/pericoloso. Se non ci sono specifiche ragioni biologiche, un animale non aggredisce un componente del proprio clan;
  4. Percezione che l'altro sta violando il suo territorio o che perlomeno lo sta minacciando, avendo già definito quale sia il suo territorio. Il gattino non percepirebbe tale violazione se non vedesse l'altro riflesso nello specchio; non tenterebbe di difendersi ancor prima di subire una minaccia;
  5. Percezione della leadership: il gattino sa che il gatto riflesso non è il leader, a cui mostrerebbe sudditanza. Sa quindi distinguere tra chi rispettare e chi minacciare/attaccare;
  6. Emissione di informazioni multicanale (arruffamento del pelo, contrazione muscolare, emissione di un sibilo, esposizione della dentatura) per ribadire la propria identità, le proprie spettanze, il proprio stato emotivo e le proprie intenzioni. Non si comporta in modo abnorme o sproporzionato e comunque mai oltre il necessario;
  7. Valutazione dei segnali offerti dall'altro e interpretazione
  8. Attesa dell'evoluzione dell'evento. Non immagina nulla, non suppone alcunché, rimane coerente all'evento. Da' al tempo il suo valore;
  9. Memorizzazione ed esperienza dell'attuale vissuto
In questa esposizione non ho accennato all'equilibrio ormonale, che spingerebbe questa breve trattazione in campi di grande complessità per i quali non ho la opportuna preparazione e conoscenza.

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Nell'umano avverrebbero ed avvengono gli stessi fenomeni ma con una componente aggiuntiva, la mente. La mente può non necessitare di uno stimolo esterno per indurre re-azioni ectodermiche; può intervenire sulle funzioni corticali anche in assenza di un vero stimolo. Può inoltre decidere se lasciare o meno il tempo alla trattativa in caso di contesa e attacco. Se per la vita dell'animale la savana è una sola, quella vera, per la mente umana è possibile creare una savana alternativa, una savana interna in cui vivere gli stessi pericoli e le stesse stimolazioni di quella reale.
La mente può influenzare, soprattutto attraverso la paura, la capacità di decidere se un altro individuo (interspecie o extraspecie) sia o meno degno di far parte del proprio clan o esserne respinto con violenza, anche non in relazione a biologiche motivazioni.
Voglio ricordare che una gazzella dorme o è in pace fino a che oggettivamente non ci sia il leone (ed i suoi sensi ectodermici le permettono di capirlo), non immagina il leone e non agisce come se il leone ci fosse se non è nei pressi; solo quando la minaccia è reale passa all'azione.
Tutto questo è possibile grazie alla finezza valutativa degli organi ectodermici.

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