Porsi in aiuto
14 01 2025
Non chiederti: "Chi sono gli altri per essere aiutati?".
Chiediti: "Chi sono io per aiutarli?".
Giorgio Beltrammi
Il dualismo dell'aiutare
Siamo sempre stati nella credenza che sia la medicina che guarisce la persona e di conseguenza chi gestisce queste medicine - sia in funzione di medico che di colui che assiste l'ammalato - si sente/crede uno strumento terapeutico. Probabilmente queste persone sono intimamente convinte - per lo più in buona fede - di essere la chiave per aprire lo scrigno dove risiede il male e poter vantarsi di essere colui o colei che ha portato salvazione e salute.
A queste persone non passa nemmeno per la testa che sono semplicemente degli accompagnatori, dei pur bravissimi e attentissimi compagni di quel viaggio - breve o lungo - che si chiama "malattia". In un certo qual modo si sentono di avere un potere taumaturgico del tutto ingiustificato e di fatto inesistente.
Anche il più bravissimo (lo so che non si dice così, ma mi piaceva un rafforzativo) dei chirurghi deve poi attendere che il paziente guarisca, dopo averlo sezionato per aggiustare (rimuovere per lo più) qualcosa nel suo corpo e se il paziente non ci riesce, la sua azione è stata inutile e il suo potere si è dileguato.
- voglio aiutare la persona o
- voglio dimostrare che ho potere curativo?
Dovete sapere che nel mondo chiuso e distante della chirurgia, i cardiochirurghi si sentono degli dei e non disdegnano di farlo pesare e lo sapete perché?
Perché fermano il cuore per fare il loro lavoro e poi, una volta finito, lo riavviano (se ci riescono). In altre parole sono dei superDei che tolgono la vita e poi la ridanno a loro discernimento (in realtà se la circolazione extracorporea, alimentata elettricamente, smette di funzionare, ti saluto). Ad un primo ragionamento questo può apparire vero, ma non è così. Hanno solamente sfruttato tecniche e rimedi per farlo, ma di certo non hanno capito cosa ha causato la malattia che ha richiesto la loro azione. Chi hanno aiutato veramente, la malattia o il malato? Se le cause della malattia non sono state rimosse, si può oggettivamente dire che hanno guarito quella persona?
L'hanno riparata, certo, ed ha il suo grande valore, ma non l'hanno guarita, quindi hanno esercitato un potere limitato, quindi sono tutt'altro che Dei.
Autoanalisi dell'aiutante
Prima di intraprendere l'azione di sostegno alla persona, occorre che l'operatore abbia fatto i conti con se' stesso e le motivazioni che lo spingono a fare quello che fa. È necessario comprendere che le motivazioni che spingono a sostenere la persona nel suo momento di bisogno, non possono in alcun modo essere prese per sedare le proprie angosce. In altri termini non si può, o è pericoloso, aiutare una persona inferma per far pace con i propri problemi esistenziali.
Quando ci si approccia al sostegno di una persona inferma è necessario essere liberi nel senso più ampio del significato. Non lo si può fare per questioni economiche, non è efficace farlo per raggiungere gloria e successo, o per sentirsi "qualcuno", non lo si può fare per avere una contropartita o per espiare i propri peccati. Insomma, la motivazione dell'operatore a fare il suo lavoro, non deve mai trasformarsi in una malattia dell'assistito.
È importante e/o consigliato che l'operatore analizzi le proprie difficoltà e applichi un lavoro su di se' per cercare di sciogliere i nodi della propria vita PRIMA di iniziare a sostenere una persona che ha bisogno di ritrovare il proprio percorso di vita. Potrebbe essere assai arduo sostenere una persona se si ha intenso bisogno di essere sostenuti; si rischia di cadere entrambi.
Può essere utile la meditazione, l'introspezione per trovare equilibrio e fermezza, ovvero riconquistare la propria libertà interiore. Uno spunto a tutto questo può venire dal rispondere a queste domande:
- Perché voglio sostenere una persona inferma e bisognosa?
- Cosa voglio davvero ottenere da ciò?
- Sono limpido e sereno per comprendere i suoi problemi?
- Sono fermo e solido di fronte alla sua sofferenza, oppure credo di vedere in lui i miei patimenti?
- Sono libero da pregiudizi e dogmi?
- Sono disposto ad accogliere il fallimento della mia azione di sostegno?
- Sono sicuro delle mie certezze?
- Sono abbastanza malleabile nei confronti dell'altro?
- Sono disposto a rimanere al mio posto?
- A chi devo mostrare i miei risultati?
- Con chi devo pareggiare i conti?
È importante procedere ad una propria analisi interiore, non per correggersi o accusarsi, quanto per uscire dal meccanismo della personalità e capire come sostenere la persona senza crollare sotto il peso dei propri problemi. Per questo è importante la conversazione con l'assistito, in funzione di stabilire una relazione tra pari, ammettendo apertamente le proprie difficoltà e manifestando la sincera volontà di affrontare insieme il percorso di sostegno, nel rispetto e nell'interazione delle proprie singolarità.
Uno dei problemi più seri, nella relazione di sostegno, è il trasformarsi da sostegno a sostenuto.
Gli ordini dell'aiuto
Il titolo di questo capitolo è anche il titolo del libro di Bert Hellinger "Gli ordini dell'aiuto" edito da Tecniche Nuove e proprio da esso ho preso degli spunti molto utili. Seppur siano intesi per chi si pone a costellatore, credo invece che siano molto utili per tutti coloro che si mettono in una posizione di aiuto e supporto. Li elenco subito:
- Dare e Accettare
- Condizioni interne ed esterne
- Ruolo genitoriale
- Il contesto famigliare
- Accoglimento
1. Dare e Accettare
Per esteso: Dare solo ciò che possediamo e Accettare solo ciò che ci serve. Significa offrire all'altro solo ciò che siamo sicuri di possedere ed ammettere di non possedere ciò che capiamo essergli utile. I tuttologi non esistono e quando si atteggiano ad esserlo, combinano solo dei casini. Comunicare subito e onestamente ciò che non possiamo dare o non possiamo fare. Si tratta di onestà intellettuale che fa bene all'assistito e a chi aiuta.
Allo stesso modo occorre essere onesti e umili da capire ciò che ci serve di fatto, non ciò di cui potremmo avere bisogno. Questo vale nel momento del pagamento, ma anche nel momento in cui si ha il primo colloquio con la persona. Ogni cliente giunge all'operatore per ottenere qualcosa e per dare qualcosa, ma non è detto che il cliente offra ciò che all'operatore serve e se ciò accadesse, l'operatore deve essere serenamente in grado di rifiutarlo;
2. Condizioni interne ed esterne
L'operatore olistico è anzitutto un umano ed il suo panorama interiore ha lati in luce e angoli in ombra. Se le condizioni del cliente contattano quelle ombre, l'operatore potrebbe vacillare e perdere controllo e armonia, potendo quindi fare danni. Quindi occorre che questi chieda a se' stesso: "Quanto le condizioni del cliente mi disturbano?" ed a seguire l'altra domanda: "Le voglio cambiare per me o per lui?". In altre parole è bene che l'operatore sappia definire se il suo intervento è teso ad aiutare il cliente od a risolvere questioni personali.
Di conseguenza ad una onesta e serena valutazione, l'operatore si pone in aiuto solo se se lo consente, riuscendo quindi a stabilire bene quali sono i limiti della sua funzione di aiuto.
3. Ruolo genitoriale
L'operatore riesce a non trasformarsi nel genitore del suo cliente? Riesce altresì a rimanere in un ruolo di parigrado?
Queste due domande servono a comprendere se l'operatore assuma un ruolo paternalistico, invece di un ruolo di professionista non famigliare. Scivolare nel ruolo genitoriale determina un legame poi molto difficile da sciogliere. L'operatore non può essere genitore del proprio cliente per evitare un eccessivo coinvolgimento ed un eccessivo attaccamento e dipendenza del cliente, che potrebbe poi non riuscire a procedere con i propri mezzi ed in autonomia.
Se l'operatore assume un atteggiamento genitoriale, occorre che agisca su di se' per risolvere il suo bisogno di essere genitore.
4. Il contesto famigliare
L'operatore è disponibile a vedere il cliente come individuo inserito in un sistema famigliare? È in grado di evitare di isolarlo rispetto ad esso? Con la visualizzazione e la comprensione delle relazioni intrafamigliari del cliente, l'operatore deve allargare il campo di indagine e dinamizzare le relazioni che il cliente intesse e sostiene. Questo può richiedere maggior impegno e la costruzione di un rapporto con tale sistema.
5. Accoglimento
L'operatore è disposto ad accogliere le difficoltà del proprio cliente? Evitando il giudizio ed ammettendo serenamente di non avere intenzione di accogliere tali difficoltà, l'operatore evita un inutile ed infruttuoso dispendio di energie da parte di se' stesso e del cliente stesso.
Nessun operatore è libero da problemi, dubbi, cose non risolte, educazione e ammaestramenti, ma ogni operatore deve, sottolineo DEVE essere in grado di accogliere se' stesso prima di tutti gli altri, comprendersi, accettarsi. Se non si accoglie il proprio se', è pressoché impossibile prendersi cura dell'altra persona, ovvero accogliere l'altro. Ogni operatore ha la sua personalità, il suo modo meccanico di procedere e operare. Facciamo degli esempi rifacendoci all'Enneagramma.
- Enneatipo 1 - Teme l'umiliazione e cerca giustizia e ordine, compensando con perfezione e rigidità, nella speranza di essere d'esempio al cliente. Per lo più inflessibile e poco compiacente, tende a voler aggiustare ciò che ritiene da aggiustare, senza tante riverenze. Essendo un istintivo, può perdere lucidità empatica e potrebbe avere un atteggiamento genitoriale;
- Enneatipo 2 - Teme l'essere abbandonato e vuole accoglimento, compensando con offerta e seduzione, nella speranza di essere ricompensato e indispensabile. È spinto ad una vicinanza e ad un accudimento in stile "mamma", coprendo il cliente di attenzioni saturanti e potrebbe puntare a divenire indispensabile per il medesimo. La sua capacità ad essere "genitore", può portare ad una dipendenza bilaterale non proprio terapeutica;
- Enneatipo 3 - Non può e non vuole fallire e vuole successo, compensando con efficienza, velocità e ottimizzazione che garantisca un risultato materiale. Può prediligere un rapporto più interessato che empatico. Potrebbe tentare di sconfiggere la malattia più che accompagnare il cliente a comprendere le ragioni del suo disagio;
- Enneatipo 4 - Teme di scomparire nella consuetudine ed ha bisogno di una forte identità e valore, compensa con immedesimazione ed empatia, nella speranza di essere di supporto e salvare la persona. Potrebbe rimanere invischiato nella sofferenza del suo cliente e soffrirne a sua volta, se non applica una adeguata schermatura. Potrebbe prediligere le tecniche spirituali e animistiche anche quando sarebbe necessario un supporto più fisico;
- Enneatipo 5 - Teme il vuoto ed ha bisogno di pienezza, compensa con logica, razionalità, conoscenza e preparazione, nella speranza di bastare a se' stesso più che al cliente. Potrebbe mostrare forte distacco empatico con una modalità comunicativa troppo razionale;
- Enneatipo 6 - Non vuole la trasgressione ed il disordine ed ha bisogno di sicurezza, compensa con la rigida applicazione delle regole, nella speranza di non sbagliare e di essere inattaccabile. Ama regole e tradizioni, potendo rivolgersi a pratiche di supporto tradizionali e collaudate (MTC, Ayurveda), ma con difficoltà intesse una relazione empatica, che non riesce a gestire serenamente;
- Enneatipo 7 - Teme il dolore ed ha bisogno di gioia, compensa con leggerezza e simpatia, nella speranza di non essere eccessivamente coinvolto. Dinamico e fintamente positivo, non ama essere bloccato da un rapporto troppo stringente e/o da percorsi di supporto lunghi e impegnativi; potrebbe quindi abbandonare il cliente quando questi lo costringa a rimanere con lui;
- Enneatipo 8 - Non vuole apparire debole e vuole che la sua visione domini, compensa così con la forza, il controllo e l'imposizione, nella speranza che la persona si lasci guidare. Potrebbe esercitare una certa pressione sul cliente per indurlo a seguire le sue indicazioni, rimanendo indispettito dalla debolezza del cliente. Può assumere un atteggiamento paternalistico;
- Enneatipo 9 - Non vuole affrontare conflitti e vuole portare armonia e pace, ottenendo di essere accettato e visto, compensa con la compiacenza e l'immolazione, nella speranza di essere amato. Tende a rinunciare al trattamento quando il cliente non mostra risultati; il suo compiacere l'altro, lo porta a trattare il cliente seguendone le indicazioni anche quando queste non sarebbero quelle più utili, divenendo un condiscendente esecutore.