Attivazioni Biologiche

Storia della Medicina

20 giugno 2020
Perla saggia:
Un medico è un uomo che viene pagato
per raccontare delle fandonie nella camera del malato,
sino a quando la natura non l'abbia guarito
o i rimedi non l'abbiano ucciso.

Antoine Furtière

Tratto da Informa giovani Adattamento e integrazioni di Giorgio Beltrammi

La medicina sacerdotale nacque quando l'uomo primitivo ebbe la sensazione della presenza di uno o più esseri superiori responsabili di qualsiasi manifestazione della natura, anche di quelle relative alle patologie da cui veniva colpito. Le uniche vie di guarigione risultavano quindi essere la preghiera, l'implorazione e il sacrificio (che non ha un significato negativo, come di qualcosa a cui ci si sottomette di malavoglia, ma a qualcosa che acquisisce una sacralità).
In seguito si ebbe la concezione magica della medicina, per cui l'uomo credette di poter intervenire sui fenomeni e addirittura di poterli comandare, sostituendosi così alla divinità: nasce la figura dello stregone o del mago, opposta ed in contrasto a quella del sacerdote.
Nell'operato di maghi e stregoni si nota un primo abbozzo di scienza in quanto essi seguivano principi sempre uguali che, pur basandosi su correlazioni criticabili, costituivano comunque un ragionamento guidato da un'apparente logica. Se quindi per scienza si definisce lo studio dei fenomeni naturali al fine di stabilirne le leggi e di poterli riprodurre applicando le leggi stesse, allora bisogna riconoscere che la magia tendeva allo stesso scopo.

La Medicina primitiva

I popoli primitivi univano l'interpretazione soprannaturale a un empirismo spesso assai progredito. Ogni malattia che avesse una causa nota e definita, venivano trattate con rimedi naturali, quelle la cui causa non era evidente erano attribuite alle divinità. In ogni caso la diagnosi e la cura sono esclusiva competenza dei guaritori.
L'eziologia di qualsiasi patologia è spesso associata a un peccato commesso, anche involontariamente, dal paziente contro divinità, stregoni, individui o oggetti dichiarati tabù. Per difendersi dalle malattie si fa ricorso ad abluzioni, all'uso di amuleti, alla somministrazione di erbe medicamentose oppure anche a cerimonie e riti collettivi a cui partecipa tutto il villaggio con a capo lo stregone: talvolta si cerca di scacciare il demone responsabile della malattia spaventandolo, talvolta allettandolo, altre volte ancora si ricorre al sacrificio o all'allontanamento di chi è ritenuto la causa dei problemi.


Giorgio Beltrammi
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La medicina popolare

Medicina primitiva, empirismo, magia e religione si fondono a creare una pratica che conferisce a determinate persone, quasi sempre donne (le streghe), la capacità di fare il male e di toglierlo. La magia del bene serve a rimuovere le malattie provenienti da fatture, sia per le affezioni più comuni.
Il ricorso al misticismo religioso, visto malamente dalla Chiesa, sconfina nella superstizione, soprattutto quando arriva a far ingoiare polvere di intonaco di alcune cappelle o immagini di santi.

La medicina ebraica (1200 a.C.-550 a.C.)

Prevale in essa il concetto teurgico della medicina: Dio è l'unica fonte di malattia e di risanamento, per cui solo il sacerdote, cioè l'uomo scelto dal Signore, è considerato strumento di guarigione.

La medicina assiro babilonese (1792 a.C.-323 a.C.)

Rappresenta il punto di passaggio tra il concetto teurgico e quello magico: la parte religiosa sta essenzialmente nell'eziologia in quanto l'ira di una divinità verso una persona permette ai demoni maligni di aggredirla causando in tal modo la malattia (c'è un demone per ogni patologia); il concetto magico ha invece risalto nella parte terapeutica, nell'attuazione cioè degli esorcismi.
Nella fase diagnostica le due concezioni vanno di pari passo e un ruolo preponderante è giocato dall'ispezione del fegato, ritenuto l'organo più importante in quanto fonte di sangue.

La medicina egiziana (3000 a.C.-1000 a.C.)

Notevoli sono la concezione biologica (concetto umorale sanguigno e concetto pneumatico) e la conoscenza dei vari quadri sintomatologici e la farmacologia. Gli elementi che costituiscono la sapienza medico empirica vengono trattati solo in libri sacri accessibili unicamente agli iniziati. L'anatomia non appare particolarmente progredita, mentre risultano molto precise le indicazioni relative alla terapia ed alle sue varie forme di confezionamento e di somministrazione: polveri, tisane, decotti, macerazioni, pastiglie erano perfettamente conosciuti. Assai progredita era inoltre la chirurgia e la sutura delle ferite.
Da notare infine la presenza di medici specialisti nelle malattie urinarie, nelle patologie delle orecchie, degli occhi e della pelle.

La medicina indiana (2500 a.C.-1500 a.C.)

Ancora oggi vi sono scuole che studiano l'antica medicina indiana nella sua forma originale (Ayurveda), così come viene trattata negli antichi testi sacri. Trattano molto accuratamente di grande e piccola chirurgia, della cura delle malattie del corpo, di demonologia, della cura delle malattie infantili, della tossicologia, della preparazione di elisir e di afrodisiaci.
Notevoli la perfezione e la varietà dello strumentario chirurgico, le tecniche di medicazione, l'attenzione negli esami diagnostici e la particolare abilità negli interventi di litotomia e rinoplastica.

La Medicina Tradizionale Cinese

I testi più antichi risalgono al 3500 a.C. e, come per la medicina indiana, vengono ancora consultati e tenuti in considerazione. La malattia e la salute sono determinate dall'armonia o meno dei due principi fondamentali: lo Yang (il principio maschile) e lo Yin (quello femminile). I medici cinesi introdussero per primi la rilevazione del polso: ne conoscevano 200 tipi differenti tra cui 21 erano considerati indice di esito letale; la farmacologia è senza dubbio la più avanzata tra tutte le medicine antiche, comprende oltre 2000 farmaci e ne include molti ufficialmente usati nella moderna terapia occidentale.
Non si può tralasciare infine l'agopuntura che consiste nell'infissione di aghi di diversi materiali in determinati punti in contatto con dei canali energetici, che sono in contatto con gli organi interni. Fu introdotta nel 2700 a.C. ed è ancora in auge ai giorni nostri sostanzialmente immodificata.

La medicina in Grecia

È in Grecia che avviene la completa e definitiva emancipazione del medico sul sacerdote con la costituzione del concetto di "clinica".
Nella Scuola di Coo c'è il passaggio all'osservazione diretta del malato eseguita con grande larghezza di vedute ed ottime intuizioni che distinguono indiscutibilmente questa scuola da tutte le altre: nasce qui il vero concetto di clinica e della conseguente diagnosi. Il medico è uomo, e la sua opera non ha sfumature soprannaturali, mistiche, astratte o filosofiche. La medicina deve essere una ricerca continua, serena e disinteressata alla quale bisogna dedicarsi solo per amore di essa.
La figura del medico è l'unione del perfetto uomo con il perfetto studioso: calma nell'azione, serenità nel giudizio, moralità, onestà, amore per la propria arte e per il malato sono i cardini della personalità del medico così come era concepito da Ippocrate. Ogni interesse personale passa in secondo piano. Non è certo un essere superiore ed infallibile come i sacerdoti degli antichi templi, ma deve sopperire alla sua fallacità con il massimo dell'impegno e della diligenza in modo da commettere solo errori di lieve entità. Deve inoltre essere filosofo, ma non tanto da farsi distogliere dalla vera scienza che è quella che si appoggia su solide basi pratiche. Il suo abito, infine, deve essere decoroso ed il suo aspetto denotare salute.
Con il passare dei secoli questa concezione rimase sostanzialmente immutata al punto che il Papa Clemente VII (Pontefice dal 1523 al 1534), in una sua bolla, stabilì che il laureato in medicina si impegnasse solennemente ad osservare il testo del giuramento ippocratico, cosa che oggi non è più richiesta.
L'anatomia non fu molto approfondita dalla scuola di Coo per due motivi principali: da una parte Ippocrate era più indirizzato verso il lato pratico della medicina, aveva cioè una maggiore propensione per la clinica; dall'altra la cultura greca aveva un rispetto assoluto per i corpi dei morti, quindi non c'era la possibilità di studiare l'anatomia esercitandosi direttamente sui cadaveri.
Alla base della medicina ippocratica stava l'integrazione tra una concezione pneumatica della vita ed una umorale, ma quest'ultima rivestiva senza dubbio un ruolo più importante. Gli umori erano quattro: sangue (caldo umido) che proveniva dal cuore, una sorta di muco detto flegma (freddo umido) dal cervello, bile gialla (caldo secco) dal fegato, bile nera (freddo secco) dalla milza. Lo stato di salute si aveva quando questi umori erano perfettamente bilanciati tra loro; se invece la crasi era alterata per l'eccesso, la corruzione o la putrefazione anche di un solo componente, allora insorgeva la malattia. Era la natura stessa con la sua capacità curativa ad intervenire nel tentativo di ristabilire l'equilibrio tramite l'espulsione degli umori in eccesso per mezzo di urina, sudore, pus, espettorato e diarrea. Se invece la malattia risultava più forte del processo autoriparativo dell'organismo il paziente moriva.
Il predominio di uno dei quattro umori conferiva anche particolari caratteristiche all'individuo (principio della costituzione e dei temperamenti): si avevano così i temperamenti sanguigno, biliare, flemmatico e atrabiliare (che rimanda alle grabdi scoperte del Dr. Hamer al riguardo delle Costellazioni chizofreniche)
Altra novità fondamentale introdotta dalla dottrina di Ippocrate fu il fatto di considerare le patologie come fenomeni generali per l'organismo e non relativi ad un singolo organo (sembra che con l'avvento della medicina moderna questo concetto sia stato drammaticamente perduto).

L'epoca ippocratica segna la nascita della clinica intesa come studio dei segni e dei sintomi osservabili sul paziente. Da ricordare l'accuratezza con cui veniva esaminata l'urina, valutata come quantità, colore, sedimento e torbidità. Assai particolareggiata e minuziosa era inoltre l'anamnesi, pur essendo rivolta essenzialmente a conoscere solo la situazione presente del malato. La prognosi si basava sullo studio degli esiti delle varie patologie: essa era considerata infausta se si notavano fattori quali disturbi visivi, sudore freddo, anemizzazione delle mani, cianosi delle unghie e stato di agitazione.

Varie erano le piante usate come farmaci; tra le più importanti ricordiamo: l'elleboro nero e la scilla (cardiotonici e diuretici), la coloquintide (purgante drastico), il veratro bianco (antireumatico, ipotensivo, contro le affezioni cutanee), l'issopo (espettorante), il giusquiamo (antidolorifico, sedativo), l'oppio, la mandragora e la belladonna (narcotici, analgesici locali), la ruta (abortivo), la menta (stomachico). Pur conoscendo i principali gruppi di medicamenti, la scuola di Ippocrate li usava con moderazione in quanto riponeva molta fiducia nelle capacità autocurative del corpo umano. Venivano inoltre praticati salassi, cure idroterapiche, inalazioni, irrigazioni e lavaggi vaginali. Notevole l'uso di ventose come antiflogistico (che nella Medicina Cinese è chiamata coppettazione).
Si passa dal concetto del similia similibus (provocare fenomeni simili alla sintomatologia del paziente per guarirlo) a quello del contraria contrariis (avvalersi di mezzi ritenuti contrari alla causa della patologia). La febbre è un ottimo mezzo per raggiungere la guarigione: il suo calore facilita infatti l'evacuazione degli umori in eccesso, che invece sappiamo essere un acceleratore metabolico che tenta di abbreviare la fase di riparazione.

Ippocrate considerava la dieta come il complesso di regole e prescrizioni che il malato era tenuto a seguire non solo relativamente al suo regime alimentare che, comunque, era di fondamentale importanza. Lo scopo ultimo era il ripristino dell'equilibrio degli umori tramite la prescrizione di cibi che, a seconda dei casi, erano umidi, caldi, freddi, o asciutti. Il principio generale, come già accennato in precedenza, era quello di aiutare le difese naturali dell'organismo a liberarsi degli umori corrotti o in eccesso, per cui nella fase acuta della malattia erano maggiormente indicati cibi leggeri e bevande poco nutrienti al fine di non distrarre le forze dell'organismo nella manipolazione degli alimenti.

La scuola di Alessandria

Alessandria fu indubbiamente il più importante centro culturale del IV sec. a. C., e la medicina, come tutte le altre scienze e discipline, raggiunse un elevato grado di specializzazione grazie alla scuola che sorse appunto nella città fondata da Alessandro Magno. Partendo dalla dottrina di Ippocrate approfondì gli studi sull'anatomia e sulla fisiologia anche attraverso vivisezioni per conoscere meglio la struttura e la funzione degli organi, dando così il primo impulso all'anatomia patologica. Nel periodo di massimo splendore riuscì ad integrare perfettamente la parte clinica e quella scientifica tentando di colmare le lacune che entrambe presentavano.
Erasistrato fu uno dei più famosi esponenti di questa scuola: mise per primo in dubbio la teoria umorale e ipotizzò che la causa delle malattie fosse da ricercarsi in un'alterazione dei vasi o dei tessuti; dette particolare valore all'esame del polso e fu inoltre assai rinomato per l'accuratezza delle diagnosi; scoprì per primo i vasa vasorum, studiò le valvole atriali e vasali, la vena e l'arteria polmonare, il fegato (notò la correlazione esistente tra cirrosi epatica ed ascite).
Altro caposcuola fu Erofilo, che si distinse per le precise descrizioni del cervello, dell'occhio e del nervo ottico. Fu inoltre famoso come ginecologo e ostetrico.

La Medicina Etrusca

Per oltre mezzo millennio, la cultura e la tecnologia etrusca sono state trainanti per i popoli italici e non è escluso che la stessa Roma ne sia stata largamente influenzata.
Nel campo della prevenzione, essendo gli Etruschi profondi conoscitori della Terra e dei suoi tesori ed insidie, davano un'estrema importanza all'igiene personale, alla scelta dell'habitat in cui vivere, all'alimentazione ed all'attività fisica. Alla base di tutto c'era l'acqua che fortunatamente abbondava nel Paese che essi abitavano e le loro città erano tutte costruite su fiumi o torrenti che venivano regolarmente bonificati anche attraverso speciali gallerie dotate di lastre di piombo perforate e drenati nei punti dove avrebbero potuto ristagnare e quindi, provocare la formazione di agenti malarici.
Va ricordato che fu uno dei re Etruschi di Roma, Tarquinio Prisco, a costruire la famosa "Cloaca Maxima dell'Urbe". Le numerose sorgenti di acqua calda provenienti dal sottosuolo vulcanico dell'Etruria, erano intensamente sfruttate per la cura delle più svariate patologie, come d'altronde si continua a fare tutt'oggi negli stessi luoghi: Saturnia, Viterbo, Chianciano etc. La farmacologia Etrusca era sostanzialmente fitoterapica ma includeva pure alcuni minerali come la limatura e l'ossido di fer
ro (anemie) rame (infiammazioni) ed alcuni sali come sodio e potassio etc.
Le piante medicinali usate sono più o meno quelle in uso nella fitoterapia odierna come ad esempio: la scammonea (itterizia), il ricino (purgante), aglio e cipolla (battericidi), timo (vermifugo), camomilla etc. Altri "farmaci" molto usati erano il cavolo e il vino.
Nel campo chirurgico abbiamo molte testimonianze dell'attività Etrusca dal ritrovamento di strumenti conservati in diversi musei e soprattutto, per quanto riguarda l'ortopedia, dalle numerose fratture ricomposte riscontrate sugli scheletri ritrovati che dimostrano che il soggetto ha continuato a vivere dopo l'intervento. Il taglio cesareo era previsto ma solo in caso di minaccia di morte della partoriente.
Ma il settore nel quale gli Etruschi emergevano è senza dubbio l'odontoiatria. In diversi musei sparsi in tutto il mondo esistono teschi con protesi dentarie, prevalentemente d'oro, di fattura altamente perfetta e sofisticata tale da stupire i moderni odontotecnici e dentisti. Gli Etruschi erano rinomati in tutto il mondo allora conosciuto per la loro abilità nel lavorare qualsiasi metallo ma specialmente con l'oro ed il rame avevano scoperto delle tecniche rimaste ineguagliate per diversi secoli.
Per primi hanno introdotto e sviluppato la granulazione e la filigrana che permettevano lavorazioni precise, funzionali e raffinate. I denti che dovevano sostituire quelli mancanti sostenuti dai ponti in oro, non potendo essere ottenuti da cadaveri, venivano ricavati in prevalenza da animali e quindi sagomati e adattati perfettamente al sistema masticatorio del paziente.
La tecnologia e la perizia medica Etrusca è stata in seguito ereditata dai Romani che all'inizio del secondo secolo a.C., hanno aperto le porte pure alla emergente medicina Greca pur mantenendo come base quella appresa dai loro maestri Etruschi.

La medicina nell'antica Roma

Lo sviluppo della medicina in Roma si può dividere in tre periodi: la fase pre-galenica, quella galenica e quella post-galenica.

Medicina pre-galenica
Si estende quasi fino alla metà del II sec. d.C. (dall'arrivo a Roma di Asclepiade fino alla nascita di Galeno) ed ha come principale caratteristica la presenza di una moltitudine di scuole, dottrine e tendenze varie tra cui vanno ricordate la scuola metodica, quella pneumatica, quella eclettica e l'enciclopedismo.
La scuola metodica prese questo nome perché si proponeva di razionalizzare e semplificare la propria dottrina per renderla accessibile anche alle menti meno brillanti. L'effetto che ottenne fu invece quello di togliere scientificità alla medicina e di avvilirne il significato. Ebbe come ispiratore Asclepiade di Bitinia (50 a.C. circa) il cui pensiero si basava sul fatto che la materia fosse composta da atomi che unendosi lasciavano tra loro dei pori attraverso i quali si muovevano altri atomi. Lo stato di salute era dato dalla perfetta proporzione tra atomi e pori; la malattia era data invece dall'eccessiva larghezza o strettezza degli stessi (status laxus che provocava pallore, flaccidità e astenia e status strictus che era caratterizzato da rossori, calori e sete ardente).
• La scuola pneumatica rappresentò una reazione a quella metodica e il ritorno ad alcuni principi cari ad Ippocrate. Deve il suo nome al fatto che individuava il pneuma, cioè il respiro, come la base dell'economia vitale dell'organismo anche se riteneva molto importante l'equilibrio degli umori sia per la costituzione fisica che per il temperamento.
• La scuola eclettica (dal 90 d.C.) tolse al sistema metodico la sua parte più ipotetica e assoluta mettendo invece in evidenza ciò che aveva di positivo e sperimentale, riprendendo inoltre la parte osservatrice di Ippocrate.
L'enciclopedismo consisteva nella trattazione di argomenti o tematiche di qualsiasi genere. La medicina, essendo un settore ancora relativamente inesplorato, attirò molti tra i più famosi scrittori romani tra cui Cicerone, Vitruvio, Marco Terenzio Varrone, Lucrezio, Plinio il Vecchio, Gellio e Seneca che, pur non essendo medici, se ne occuparono comunque in maniera abbastanza approfondita.

Galeno (138-201)

Si batté con decisione contro l'imperversare delle scuole che, in ultima analisi, stavano portando la medicina verso un periodo di decadenza, ergendosi ad arbitro di tutto lo scibile medico: tentò di separare il vero dal falso, indipendentemente dalla fonte di provenienza, riunificando i vari sistemi di studio con la raccolta di tutto il materiale a sua disposizione, esaminandolo e vagliandolo a fondo e cercando di perfezionare il metodo sperimentale che stava alla base del suo pensiero. Dal momento che dette anche particolare valore alla clinica ed alla patologia, si può certamente dire che fu l'artefice della più completa forma di medicina mai concepita fino a quel momento.
In anatomia non si limitò a sterili descrizioni morfologiche: cercò di capire la funzione e la finalità di ogni singola parte dell'organismo, anche se sezionò più che altro corpi di animali (principalmente maiali, cani e scimmie). Le parti più minuziosamente trattate sono l'osteologia e la neurologia.
In fisiologia quasi ogni studio fu suffragato dalla parte sperimentale: scoprì la differenza tra nervi motori e sensitivi, distinse le lesioni degli emisferi cerebrali da quelle del cervelletto, valutò la funzione escretrice dei reni, la circolazione fetale e si occupò particolarmente degli organi di senso. Si soffermò inoltre a lungo sulla funzione circolatoria che, nonostante grossolani errori, avrebbe formato un caposaldo della fisiologia medioevale fino al Rinascimento; i suoi punti fermi erano i seguenti: il fegato è il centro del sangue venoso e il cuore di quello arterioso; il cuore destro e quello sinistro comunicano tra loro; il sangue si esaurisce negli organi; le vene polmonari portano sangue sporco ai polmoni e lo riportano purificato al cuore.
In patologia non raggiunse invece livelli di eccellenza in parte per la costante preoccupazione di voler classificare ogni malattia, in parte per una venatura di filosofismo che emergeva nei casi in cui non riusciva a risalire alle reali cause del male.
In clinica fu invece assai minuzioso: grazie alla diretta osservazione del malato, alla profonda conoscenza dell'anatomia ed all'esperienza accumulata durante i suoi studi di fisiologia era in grado di spiegare fatti e fenomeni che sfuggivano ai medici della sua epoca. Galeno fu poi il primo vero esperto di medicina legale: si occupò di morti vere ed apparenti, iniziò la pratica della docimasia idrostatica polmonare per constatare, in caso di sospetto infanticidio, se il feto avesse o no respirato, e delle simulazioni delle malattie.
In terapia partì dal concetto ippocratico della forza medicatrice della natura basandosi sulla regola del contraria contrariis. Ogni medicamento doveva poi essere di provata efficacia e prescritto per una ragione plausibile; conosceva quasi 500 sostanze semplici di origine vegetale e una vasta gamma di origine animale e minerale.

Medicina post-galenica

Generalmente con la morte di Galeno si rappresenta la chiusura del periodo aureo della medicina romana, anche se per almeno altri tre secoli la scienza medica sarebbe stata ancora sulla cresta dell'onda. Dopo Galeno, ad ogni modo, si sviluppò una sorta di dogmatismo e uno sterile canonismo portato avanti da figure a volte degne di nota che tuttavia non aggiunsero nulla di nuovo a quanto già era noto.
Oltretutto iniziò la tendenza allo sconfinamento del conoscibile nel campo dell'inconoscibile, caratteristica peculiare della medicina nel medioevo.


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La scuola salernitana

È considerata la più antica ed illustre istituzione medievale medica del mondo occidentale; in essa confluirono tutte le grandi correnti del pensiero medico fino ad allora conosciuto. Le prime testimonianze storiche certe risalgono all'inizio del IX sec.: in quel tempo lo studio della medicina a Salerno era principalmente pratico e, anche se la tendenza di questa scuola è spiccatamente laica, erano i monaci che tramandavano oralmente gli insegnamenti.

Una delle novità più importanti di questa scuola sta nel fatto di non accettare passivamente la malattia: non solo non si arrende di fronte ad essa, la combatte e la cura, ma soprattutto cerca di prevenirla con ben precisi strumenti medici; si oppone inoltre alla teoria secondo la quale è inutile curare il corpo in quanto la vera salvezza non appartiene al mondo terrestre. Alla base del concetto di medicina della scuola di Salerno stanno approfonditi studi anatomici sul corpo umano, l'importanza dell'armonia psico-fisica e il valore di una dieta corretta ed equilibrata, principi che ancora oggi sono ripresi e riaffermati dalla medicina psicosomatica e dalla scienza dell'alimentazione.

Altro grande progresso è il fatto che i maestri salernitani sono disposti a scendere dalla cattedra per avvicinarsi al letto del paziente e discutere con gli allievi degli aspetti clinici delle malattie. Non era comunque facile diventare medico a Salerno: prima bisognava studiare la logica per tre anni, poi altri cinque erano di scuola medica (non solo la teoria sui classici greci, ma anche la pratica con autopsie per poter riconoscere i vari organi e capirne la funzione) ed infine si sosteneva un esame sia con il maestro del corso, sia alla presenza di un collegio composto da altri medici. Da notare infine che la scuola era aperta indistintamente a uomini e donne che tuttavia esercitavano soprattutto la ginecologia.

Veramente notevole era la conoscenza delle erbe medicinali; tra gli innumerevoli esempi può essere ricordato l'issopo contro le bronchiti e le affezioni respiratorie, la ruta per la vista (favorisce la microcircolazione oculare), il colchico come antireumatico. Non si può poi dimenticare l'importanza che ebbe la chirurgia: nella Practica chirurgia e di Ruggero Frugardi (il primo chirurgo salernitano) sono menzionate tecniche come la sutura dei vasi sanguigni usando fili di seta, le metodiche per la trapanazione del cranio, una sorta di rudimentale anestesia effettuata con sostanze estratte dalla Spongia somnifera e il consiglio di adoperare nella terapia medica del gozzo spugne ed alghe contenenti iodio.

Le università

Le prime università sorsero a partire dal XIII secolo dove già esistevano centri di studio sia laici, sia di ispirazione religiosa, famosi per l'abilità o per il valore didattico di determinati insegnanti. Queste istituzioni erano molto ben viste dai comuni e dai loro regnanti perché contribuivano alla loro fama: c'erano vere e proprie gare per avere i migliori insegnanti e il maggior numero di studenti. La prima università in Italia fu quella di Bologna (1088) e i primi corsi di medicina partirono nel XII secolo dando a chi li frequentava le qualifiche prima di Magistri, poi di Medici fisici, quindi di Professori ed infine di Dottori. L'ufficialità alla facoltà di medicina (all'interno di quella degli artisti) fu concessa dal papa Onorio III nel 1219 provocando non poche proteste da parte degli universitari giuristi che fecero forti pressioni per impedire il riconoscimento di uguali diritti ai nuovi arrivati, cercando di allontanarli il più possibile verso altre città. Fu così che all'università di Bologna fecero ben presto seguito quelle altrettanto famose di Padova (1222) nata da un gruppo di insegnanti e studenti provenienti da Bologna, e di Napoli (1224).
Da ricordare all'estero l'università di Montpellier, che risentì molto sia dell'influenza ebraica, sia di quella della scuola salernitana e l'università di Parigi, riconosciuta ufficialmente nel 1200, entrambe sotto la diretta dipendenza dell'autorità ecclesiastica; dall'esperienza di quest'ultima nacquero poi le università di Oxford e Cambridge.

Il Medioevo

Le pestilenze

Con la parola pestilenza si indicava qualsiasi genere di malattia epidemica rapidamente diffusibile anche per cause diverse dal contagio vero e proprio (intossicazioni, carenze alimentari...). Per spiegare queste morie l'epidemiologia medioevale ricorse ad interpretazioni naturali e soprannaturali: l'opinione più diffusa era la presenza nell'aria di vapori nocivi contenenti un veleno pestilenziale; un'altra ipotesi era quella di giganteschi incendi scoppiati in oriente che producevano fumi velenosi, oppure il morbo poteva provenire anche dalle viscere della terra o dal cielo a causa di maligne congiunzioni astrali. Ci fu poi anche chi pensava all'avvelenamento dei pozzi da parte di ebrei o di lebbrosi, scatenando così vere e proprie persecuzioni soprattutto in Francia, credenza che rimase radicata nella storia dando luogo alle dicerie sugli "untori" in epidemie posteriori.
A partire dal XII sec. si può fare in Europa un conto approssimativo di una pestilenza più o meno grave in media ogni 10-15 anni. Senza contare la lebbra, una delle malattie più conosciute fin dall'antichità e di cui si parlava già nella Bibbia, le patologie che più frequentemente causavano queste morie erano: la malaria, il fuoco di S. Antonio, il vaiolo, il tifo, lo scorbuto e soprattutto la peste bubbonica. Quest'ultima raggiunse il massimo della mortalità nel 1348 manifestandosi nella forma polmonare che dava esito letale già nel terzo o quarto giorno di malattia: il contagio cominciò nel 1333 in Asia, si diffuse verso l'India ma colpì anche la Crimea e le altre zone intorno al Mar Nero da una parte e la Mesopotamia, l'Arabia e l'Egitto dall'altra; nel 1347 arrivò in Italia penetrando attraverso la Sicilia e le repubbliche marinare; si diffuse poi in Olanda, in Inghilterra, in Germania, in Polonia ed in Russia per estinguersi nel 1353 sulle rive del Mar Nero, suo punto d'origine, probabilmente perché lì trovò i superstiti dell'episodio di 20 anni prima ormai immunizzati.

L'ospedalità medioevale

Già poco tempo dopo la nascita della religione cristiana iniziò la pratica dell'assistenza caritativa agli ammalati e ai poveri in appositi ospizi e ricoveri: si chiamavano xenodochia quelli riservati agli stranieri, ptochia quelli per i poveri, gerontocomi erano dette le strutture per gli anziani, brefitrofi erano i luoghi dove si curavano i bambini e orfanotrofi quelli destinati a chi aveva perso i genitori.
Sorsero praticamente allo stesso tempo delle associazioni dette ordini ospedalieri; essi avevano in realtà una triplice natura, e cioè erano ospedalieri, militari e religiosi, visto che spesso svolgevano la loro attività in terre straniere, tra gli infedeli e i nemici del cristianesimo.
La situazione di questo genere di strutture non era certamente rosea sotto il profilo del rispetto delle norme igieniche o della qualità dell'assistenza prestata: soprattutto il personale stipendiato lasciava piuttosto a desiderare per comprensione e carità. Anche il tipo di costruzione, sebbene impreziosito da sculture, pitture ed opere d'arte, non appariva certo funzionale alle reali esigenze.
Il primo ospedale sorto in Italia fu quello di S. Spirito in Sassia, fatto costruire dal papa Innocenzo III nel 1201 a Roma. A questo seguirono poi gli ospedali di Pistoia (1271), quello di Firenze (1288) e poi via via tutti gli altri nelle maggiori città della penisola.

Fino a questa epoca, la malattia continuava ad essere un mistero. Continuava a imperversare il concetto che per i disturbi della persona si poteva fare poco. Si poteva contare sulla erbologia, sulle pratiche termali, sulla prescrizione e l'osservanza di diete e regole di vita. Molto rimaneva in mano alla preghiera, al fato ed alle superstizioni popolari. Continuava ad essere sconosciuta la causa di ogni tipo di malanno che non fosse determinato da traumi, avvelenamenti ed eccessi alimentari o di altro genere. La malattia continuava ad essere, appunto, una mala abitudine, una maledizione, un maleficio. Il "male" imperversava e rimaneva la causa di ogni squilibrio di salute.
Poiché il male era frutto dell'opera del "maligno", continuava a regnare uno stato di sottomissione dell'umano nei confronti di tale entità soprannaturale.

Il rinascimento scientifico (sec. XVII)

In questo periodo iniziarono ad essere gettate le fondamenta di un nuovo tipo di scienza che fosse libera dal retaggio del medioevalismo galenico e diretta alla formulazione di leggi e principi generali attraverso l'esperimento, più che all'osservazione scolastica dei fenomeni. Tutto questo fermento era inoltre supportato dal punto di vista filosofico dalle teorie razionalistiche di Cartesio, Francesco Bacone, Tommaso Campanella e Giordano Bruno: mettendo il ragionamento al di sopra della pura sensazione, essi contribuirono ad aprire la strada al metodo sperimentale, che non teneva minimamente conto della singolarità di ogni essere vivente e del suo personale modo di percepire gli accadimenti della propria vita.
Un tentativo di applicare il principio sperimentale anche alla medicina fu quello della sua interpretazione iatromeccanica e iatrochimica: entrambe tentavano di applicare ai processi fisiologici leggi e regole proprie dei corpi inorganici. La prima cercava la spiegazione di tutti i fenomeni biologici in regole di meccanica e di matematica, formule e calcoli numerici. Tutto si riduceva ad alterazioni meccaniche, senza considerare che ogni meccanismo si crea in base alle necessità biologiche del vissuto quotidiano.
La seconda interpretava la malattia come un'alterazione chimica, uno squilibrio tra acidi e basi, sconfinando talvolta nel campo dell'alchimia. Tutto si riduceva ad alterazioni della chimica, come se la chimica del corpo potesse essere distaccata totalmente dal percepito individuale.
Una ventata di novità arrivò grazie a personaggi come Marcello Malpighi (1628-1694) che, utilizzando i primi rudimentali microscopi, poté compiere indagini anatomiche piuttosto accurate osservando la struttura cellulare e scoprendo tra l'altro la prova della comunicazione tra vene ed arterie a livello degli alveoli polmonari. Grazie agli studi condotti sugli insetti contribuì poi alla demolizione della dottrina della generazione spontanea.
Da ricordare infine la nascita del concetto della natura vivente del contagio: Giovan Cosimo Bonomo (1666-1696), ad esempio, individuò la vera eziologia della scabbia con la scoperta del ruolo dell'acaro nella malattia, anche se la medicina ufficiale ignorò i suoi studi fino quasi alla metà del sec. XIX

Il sec. XVIII

In questo secolo la scienza medica fu caratterizzata dall'affermazione delle dottrine dei "sistemi", cioè una serie di principi fisiologici, patologici e terapeutici tenuti insieme da una solida base filosofica, ma limitati furono le applicazioni pratiche in campo medico-chirurgico: il ruolo trainante spettava infatti ancora alle teorie filosofiche come quelle di Leibniz e Kant.
I principali sistemi furono quelli elaborati da Friederich Hoffmann e da Georg Ernst Stahl (1660-1734). Hoffmann teorizzò un sistema medico che poggiava su basi essenzialmente meccaniche: l'intero organismo era composto da fibre che si contraevano e rilasciavano a seconda di un fluido regolatore contenuto nel cervello. Le malattie erano dovute alla modificazione del tono normale e si manifestavano con una quantità eccessiva di sangue a livello dello stomaco o dell'intestino, organi sui quali venivano così concentrate le maggiori attenzioni terapeutiche.
Stahl sottolineava invece l'importanza dell'anima che ordinava ed equilibrava ogni processo fisiologico; la morte dell'anima portava alla putrefazione del corpo.
Altre teorie ebbero un discreto seguito in questo secolo: William Cullen (1710-1790) sosteneva che l'origine della vita fosse da ricercare nel sistema nervoso il cui equilibrio corrispondeva allo stato di salute.

Secondo John Brown (1879-1788) la vita era uno stato mantenuto da continui stimoli che agivano sulla eccitabilità degli organi. Ogni altro sintomo era da tralasciare, tanto che egli vedeva l'unica via di terapia in sostanze stimolanti.
La concezione del Vitalismo della scuola di Montpellier (De Bordeu, Barthez) propugnava invece l'esistenza di una via intermedia tra materia ed anima: ogni singolo organo aveva in sé una forza vitale. Franz Anton Mesmer (1734-1815) era convinto che l'energia guaritrice proveniva dallo stesso organismo umano (teoria del magnetismo animale). Celebri sono i suoi studi sull'ipnotismo o sonnambulismo artificiale.
Purtroppo Edward Jenner (1749-1823) studiò il vaiolo ed osservò che le persone infettate una volta dalla forma vaccina non contraevano più quella umana; decise quindi di produrre artificialmente la prima infezione come misura profilattica ottenendo così l'immunizzazione da una delle patologie in quel tempo più pericolose. Paolo Mascagni (1755-1815) scoprì il sistema linfatico.

Il sec. XIX

Questo periodo è caratterizzato da importanti scoperte scientifiche e tecniche. La medicina fu condizionata in modo senza dubbio positivo dalle acquisizioni di altre scienze quali la chimica, la fisica e la matematica. Decisivo fu inoltre il sempre maggiore perfezionamento degli strumenti di ingrandimento ottico grazie anche agli studi del modenese Giovanni Battista Amici (1786-1863).
Grandi progressi si ottennero nel campo dell'elettrologia in seguito alla diatriba sugli studi di Luigi Galvani (1879-1798) ed Alessandro Volta (1745-1827).
Anche la statistica fece il suo ingresso sulla scena della medicina: si iniziava a capire l'importanza di raccogliere, esaminare e classificare dati e informazioni riguardo salute e malattia per poter disporre di sempre più elementi al fine di studiare e sconfiggere le diverse patologie. Certamente all'inizio i metodi usati non erano perfetti e completamente attendibili, ma grossi passi in avanti furono fatti grazie all'opera dell'inglese William Farr (1807-1883) e di Melchiorre Gioia (1767-1829). E con l'ingresso della statistica, la medicina perse definitivamente il contatto con l'essere umano, considerando gli uomini e le donne tutti uguali e con il medesimo vissuto. Un grosso ostacolo nella comprensione del fenomeno biologico che chiamiamo malattia.

Pietra miliare del progresso in medicina fu poi la teoria cellulare portata avanti da Mathias Jacob Schleiden (1804-1881) e da Theodor Schwann (1879-1882) che scoprì la cellula nucleata del tessuto animale rendendola di pubblico dominio con le sue osservazioni nel 1879. Poco più tardi Robert Remak (1815-1885) formulò la teoria della proliferazione cellulare.
Da questo momento in poi la medicina iniziò a concentrare i suoi sforzi sull'osservazione microscopica applicando le nuove scoperte al campo della fisiologia e della patologia; Rudolf Virchow, considerato il primo patologo moderno, fu la figura di maggior spicco in questo settore della ricerca. Ed anche con questa spasmodica ricerca nel microscopico, si è persa di vista la ricerca nel macroscopico.

Louis Pasteur (1822-1895), che era un chimico e non un medico, con i suoi studi abbatté definitivamente le teorie della germinazione spontanea dimostrando che i microrganismi erano la causa delle infezioni e non un loro prodotto, ma la sua teoria non aveva alcuna dimostrazione scientifica e il solo fatto di reperire i microorganismi nel tessuto malato, non dimostra che sia stato il microorganismo a causare la malattia. Tra gli altri furono isolati il pneumococco, il bacillo della tubercolosi, l'agente responsabile della difterite, il vibrione del colera, il gonococco, l'agente causale della lebbra, del tetano, della peste, della sifilide...insomma, prima del 1900 la lista degli agenti infettivi era praticamente completa.

Anche la fisiologia conobbe un rapido sviluppo: si chiarì la struttura del sangue, il ritmo e l'origine del battito cardiaco, i meccanismi della respirazione, della digestione, del sistema nervoso.
Più lento fu invece lo sviluppo della farmacologia anche se è da ricordare il brevetto da parte dalla Bayer dell'aspirina, messa in commercio nel 1899.
Verso la fine del secolo vennero poi introdotti strumenti importantissimi come il laringoscopio, l'esofagoscopio, l'otoscopio, l'oftalmoscopio, il gastroscopio, il cistoscopio. Da non dimenticare lo sfignomanometro proposto nel 1896 da Scipione Riva Rocci (1863-1937).
Rivoluzionari furono infine gli studi di Wilhelm Conrad Roentgen (1845-1923) che nel 1895 scoprì i raggi X.

La figura del chirurgo, fino a questo momento in posizione assolutamente subalterna rispetto a quella ritenuta più nobile del medico, iniziò a conquistare una maggiore dignità. Mentre prima il dolore aveva sempre limitato la sua azione, tanto che il paziente doveva essere immobilizzato da aiutanti robusti, poiché l'uso dell'alcol, dell'oppio, della radice di mandragora, delle spongie soporifere non erano sufficienti a diminuire adeguatamente la sua sensibilità, in questo periodo, grazie ad alcune scoperte della chimica, vennero introdotte sostanze gassose come i cosiddetti gas esilaranti, l'etere, il cloroformio, che aprirono nuove frontiere al progresso della chirurgia. In seguito si cercò di studiare nuove vie di somministrazione (via rettale) e nuove sostanze (morfina, cocaina...), ma l'uso dei gas dominò la scena fino al nostro secolo quando si arrivò all'anestesia endovenosa. Un grande aiuto allo sviluppo di nuove tecniche chirurgiche fu dato da tutte le sanguinose guerre di questa epoca: moti rivoluzionari, guerra di Crimea, guerra di secessione americana, guerre coloniali...: i chirurghi si impratichirono molto nelle amputazioni, nelle resezioni articolari, nell'arresto di emorragie e nella legatura dei vasi.
Il salto di qualità decisivo per la chirurgia fu infine dato dalla conquista dell'asepsi e dell'antisepsi. Nella seconda metà del secolo, pur tra pareri discordanti, qualcuno iniziò a notare prognosi postoperatorie migliori se prima dell'intervento si fosse utilizzata acqua di cloro per lavarsi le mani; nel 1878 si introdusse la bollitura degli strumenti e nel 1891 la sterilizzazione a secco; sempre in quegli anni apparvero sui campi operatori i primi guanti di gomma a coprire le mani dei chirurghi e a cavallo dei due secoli la preparazione della cute da incidere veniva effettuata con pennellature di tintura di iodio. Grazie a tutti questi passi in avanti si superò il rischio delle febbri e delle infezioni postoperatorie.

Il denaro e la politica nella medicina

La Rivoluzione Industriale, l'era del carbone, del petrolio, dell'elettricità, delle macchine, del treno e delle automobili. Due figure hanno torreggiato in questa epoca, che hanno avuto più potere sulla scienza, l'industria, la finanza e la politica di chiunque altro nella storia: Andrew Carnegie (nella foto a destra) e J.D. Rockefeller (nella foto a sinistra). Il controllo di Carnegie e Rockefeller sulla maggior parte della vita americana è qualcosa di meraviglioso e visibile, che si estende fino ai giorni nostri. Il cambiamento stava prendendo piede ad una velocità fuori dal controllo della politica e per la prima volta nella storia, il controllo passava nelle mani di privati.
Tra le altre cose, Carnegie e Rockefeller controllavano le industrie del petrolio e del carbone. Nel 1900, si accorsero che queste industrie producevano montagne di rifiuti anno dopo anno. Venne presentata una idea originale: come tradurre questi rifiuti in ulteriore fonte di guadagno? Una idea capitale, ma come? Medicina, ecco come. Ma medicina come il mondo non aveva mai visto. Medicina basata sulla chimica. Farmaci.

Una idea magnifica. Ma come il popolo avrebbe accettato una idea tanto strana? Questo era il problema. Il popolo assumeva cure naturali e solo occasionalmente ricorreva al medico per qualcosa di "serio". Il modo per guadagnare accettazione delle nuove medicine divenne presto ovvio: standardizzare l'educazione, la formazione e la credibilità dei dottori in medicina ed elevando il loro livello economico al punto che avrebbero seguito il profitto.
Circa nel 1904 Andrew Carnegie si accorse che i lavoratori delle proprie industrie percepivano uno stipendio superiore a quello dei medici. Consultando il presidente del MIT, Henry Pritchett, fondò la Carnegie Foundation con 10 milioni di dollari. Il suo proposito originale era di offrire un fondo pensione per i professori a riposo. Ma presto emerse una nuova applicazione: controllo dell'educazione. Il nome fu cambiato a Carnegie Foundation for the Advancement of Teaching, e Pritchett espanse il proposito originale, chiamandolo ora "una grande agenzia votata a rafforzare l'educazione americana attraverso la ricerca scientifica." La Fondazione ebbe un immenso successo. Il controllo sugli standard educativi agì in questo modo: in funzione di qualificarsi per il nuovo sistema pensionistico, una istituzione partecipante doveva conformarsi agli standard della Fondazione. Nel primo anno, solo 52 dei 421 colleges furono accettati.

Un insegnante non-medico, Abraham Flexner (nella foto in basso), fu contattato dalla Carnegie Foundation per viaggiare attraverso i paesi americani ed "osservare" l'educazione medica. Il suo studio di riferimento, conosciuto come Rapporto Flexner, fu pubblicato nel 1910. Sulla base delle sue raccomandazioni, la Fondazione uscì allo scoperto mostrando di non essere solamente un piano pensionistico per professori, ma ben altra cosa che interveniva in una precisa area: finanziamento alla ricerca. Le scuole che aderivano al Rapporto Flexner, ovvero agli standard della Fondazione vennero finanziate e fornite di sussidi. Quelle che non aderirono, non ricevettero nulla. In questo modo i giganti dell'industria poterono dettare il tipo di cure mediche. I metodi tradizionali di cure naturali caddero in disgrazia, in favore di un approccio più "scientifico", il che alludeva a quelle scuole che disseminavano i prodotti della neonata industria farmaceutica.
Per non essere da meno della Carnegie Foundation, la Rockefeller Foundation tese ad ascendere in importanza. Impiegando nuovamente la direzione di Abraham Flexner, la Rockefeller Foundation sviluppò gli standard per le scuole di medicina che cercavano un supporto "filantropico".

Le scuole dovevano essere connesse alle grandi università. Le università dovevano essere collegate ai dipartimenti clinici con laboratori ed un ospedale universitario. Usando i fondi di Rockefeller, Flexner fu capace di sviluppare un piccolo gruppo di scuole mediche di élite che fossero orientate alla clinica. Esse avevano del materiale grezzo per i nuovi farmaci. Ciò che mancava era una potente base accademica che legittimasse il loro sviluppo e l'uso generalizzato.
L'infrastruttura educativa, i finanziamenti, la ricerca e l'organizzazione medica che persiste ancora oggi fu creata in pochi anni. La medicina popolare, che era rimasta negli usi comuni, fu gettata nell'immondizia molto presto.
Guidata dalle specifiche di due delle maggiori forze economiche mondiali della storia, Carnegie e Rockefeller, la medicina organizzata divenne una industria, con il suo obiettivo principale nella crescita del mercato. Avvenne che l'industria che si basa sulla malattia non cercò di distruggere se stessa curando le malattie. Questa è la ragione per cui in tutti questi anni le cure non farmaceutiche sono state sistematicamente soppresse. Divenne, ed è ancora oggi, una questione di buoni affari.

Il sec. XX

Nel primo novecento furono oggetto di studi e ricerche soprattutto la batteriologia, la parassitologia e la sierologia: si iniziavano a capire le vere cause di molte malattie e le modalità con cui si trasmettevano. In realtà la causa nota delle malattie riguarda solo il 5% dei quadri patologici classificati.
Grande fu anche lo sviluppo della radiologia; purtroppo si ignorava ancora la pericolosità delle radiazioni ionizzanti e di conseguenza vi si faceva ricorso indiscriminatamente e senza protezioni.
Laparoscopie, pleuroscopie, biopsie muscolari e spirometrie erano prassi normale negli ospedali già nei primi venti anni del secolo.
Negli anni venti si affermò l'elettroencefalografia, nei trenta il microscopio elettronico, nei quaranta la diagnostica ecografica, la registrazione continua degli ECG secondo Norman Jeffers Holter (1914-1983); dal punto di vista farmacologico si scoprirono i primi antibiotici, alcuni antistaminici e anticoagulanti; negli anni cinquanta James Watson e Francis Crick descrissero la struttura del DNA; apparvero inoltre diuretici, cortisone, psicofarmaci, ipoglicemizzanti ed antiparkinsoniani.
La chirurgia, resa sempre più sicura ed affidabile grazie anche ai nuovi farmaci, arricchiva sempre di più il suo strumentario iniziando così a suddividersi in vari rami: tra le prime scuole specialistiche si annoverano l'oculistica, l'urologia, la traumatologia, l'otorinolaringoiatria.

Considerazioni finali

Da quanto abbiamo avuto modo di leggere, la medicina è passata dagli stregoni votati a contattare cerimoniosamente divinità e spiriti malvagi affinché lasciassero la persona malata, agli stregoni del XXI secolo votati a spingere lo spirito malvagio fuori dal corpo del malato usando farmaci e coltelli. Poco è cambiato.
Si è passati dal non sapere come è fatto/funziona il corpo umano, al sapere come funziona e come è fatto, ma nel campo delle malattie i misteri rimangono oggi come 4000 anni fa. All'epoca di Ippocrate le cause delle malattie erano sconosciute, ma si usavano erbe, abluzioni, alimenti, massaggi per tentare di curarle. Oggi le cause delle malattie rimangono sconosciute, ma si usano farmaci (erbe), abluzioni, alimenti, bisturi e massaggi per tentare di curarle.
Queste nuove "armi terapeutiche" (vengono proprio chiamate così in osservanza della dottrina militare che regna nell'attuale medicina) sono solo pomposamente descritte come "rivoluzionarie" e "risolutive", ma in realtà non sono altro che nuovi modi per produrre denaro a scapito della salute della persona.
Sia nella preistoria che a tutt'oggi si continua a non voler esplorare il campo delle percezioni emotive, delle relazioni tra umano e ambiente, delle relazioni tra psiche, cervello e corpo. Si tratta di una negligenza non più tollerabile e giustificabile.
Temo che se non si cambia rotta nell'approccio alla persona malata, la storia delle medicina è destinata a rimanere immutata. Ci saranno solamente nuove teorie, nuovi farmaci e nuove manipolazioni.

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