La Biologia della Svalutazione
23 maggio 2020
Non si deve giudicare il merito di un uomo
dalle sue grandi qualità
ma dall'uso che sa farne.
François de la Rochefoucauld
Questo articolo tratta del cosiddetto "Conflitto di svalutazione", noto a tutti gli studiosi delle 5 Leggi Biologiche e della Nuova Medicina Germanica®.
Per prima cosa ho fatto delle ricerche a proposito delle parole "svalutazione personale" e nulla ho trovato che riguardasse gli effetti biologici della svalutazione di se' stessi. Semmai ho trovato tanti risultati al riguardo di "Valutazione del personale" ed è incredibile come, cercando qualcosa che ha a che fare con la percezione di mancanza di valore personale, abbia trovato delle metodiche che, come effetto collaterale, possono effettivamente intensificare il percepito di non valere nulla o poco.
Effettivamente il termine svalutazione, riguardante un percepito conflittuale, è un termine biologicamente improprio.
"Svalutazione" è un termine psicologico, non biologico. "Inadeguatezza", "Incapacità" sono invece due termini che hanno un riscontro biologico e ne vedremo il perché.
Parleremo quindi di autostima, di adeguatezza, di capacità biologiche, di percezione di riuscire.
Questo articolo è lungo come il precedente, quindi è indicato per chi ha voglia di leggere con pazienza e per chi ha conoscenze di base delle 5 Leggi Biologiche.
1. Valore, Capacità, Adeguatezza
Secondo la Treccani il termine "Valore", ha questi significati (utili a questa trattazione):
1. Riferito a persona indica possesso di alte doti intellettuali e morali, o alto grado di capacità professionale; gente di molto valore; enfatico, con senso concreto, persona di grandi capacità; Nella lingua letteraria antica, come sinonimo di virtù, equivale talvolta a nobiltà d'animo; o indica particolari meriti; o particolari capacità.
Coraggio, ardimento dimostrati nell'affrontare i nemici in combattimento e nel sostenere fermamente le dure prove che la guerra comporta, anche con pericolo della propria vita: lottare, combattere, resistere, difendersi con valore;
Forza, capacità fisica e psichica
[...]
4. In filosofia il termine non ha un significato unico e universalmente accolto: è stato inteso come principio o idea di validità universale, o come principio, soprattutto di vita morale, dipendente da una valutazione soggettiva e pratica; giudizio di valore, in contrapposizione al giudizio di realtà, quello espresso su ciò che deve essere.
Dal punto di vista dei comportamenti sociali, si tende a considerare come valore ogni condizione o stato che l'individuo o più spesso una collettività reputa desiderabile, attribuendogli in genere significato e importanza particolari e assumendolo a criterio di valutazione di azioni e comportamenti.
In antropologia culturale e in sociologia, sono detti valori gli elementi costitutivi della struttura sociale sui quali si manifesta l'adesione collettiva di ogni comunità; l'indebolirsi e il venir meno della fiducia nei modelli etici e comportamentali tradizionali.
[...]
6. Riferito a parole, espressioni, segni, simboli, equivale a «significato»; ma con riguardo a parole, può indicare anche il tono e il carattere stilistico.
"Capacità"
a. abilità, attitudine, destrezza, disposizione, dono, idoneità, inclinazione, perizia, propensione.
b. doti dell'intelletto
c. abilità, acume, bravura, competenza, dote, ingegno, intelligenza, levatura, perspicacia.
"Adeguatezza"
L'essere adeguato.
"Giudizio"
1. a. L'attività logica del giudice
b. Per analogia, g. finale, dell'anima davanti al tribunale di Dio subito dopo la morte, variamente concepito secondo le varie religioni e credenze;
c. La sentenza, il verdetto dei giudici
d. Per estensione, sentenza, decisione, anche non di giudici
e. Giudizio di Dio
2. Nel linguaggio comune, qualsiasi affermazione, verbale oppure scritta, la quale non sia una semplice constatazione di fatto, ma esprima un'opinione sulle qualità, il valore, il merito di persona o cosa; spesso quindi sinonimo di parere, opinione, avviso e simili.
3. La facoltà stessa della mente che giudica e l'attitudine a ben giudicare.
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1.1 Il potere genitoriale sulla percezione di Valore/Capacità/Adeguatezza
Ogni persona crea e conferma una immagine di se' stessa. Grandissima rilevanza, nella costruzione della propria immagine di valore, è data dagli stimoli ricevuti in tenera età, senza trascurare l'aspetto transgenerazionale e il Progetto Senso.
Se siete genitori ed avete dei figli, una domanda da porsi è «Cosa pensa mio figlio di se stesso?» Se indagate sulla vostra autostima, la domanda potrebbe essere «Cosa pensavo di me, quando ero bambino?»
Nel farvi queste domande ricordate che non importa quello che pensate voi di lui, ma solo quello che pensa lui di se stesso! Non importa cosa pensavano gli altri di voi, ma quello che pensavate voi di voi stessi.
La percezione del proprio valore, detta anche autostima, deriva anzitutto dai genitori, che devono avere una immagine positiva di se' stessi avendo dei comportamenti e valori positivi, per rispecchiare ai figli atteggiamenti positivi e attivi.
L'uso delle parole e del modo di pronunciarle può arrecare importanti note positive, ma anche gravi danni nella strutturazione del percepito del proprio valore e della propria adeguatezza.
Quando è ancora nell'utero, l'individuo vive in uno stato di beatitudine che si trasforma, nel momento della nascita in un rapporto di amore e di simbiosi con la madre. Si tratta, dal secondo mese in poi, di una simbiosi normale, nella quale il bimbo si comporta e agisce come se lui e la madre fossero un unico sistema.
All'inizio una buona simbiosi con la madre, sorretta da un amore attento, è indispensabile affinché il bimbo possa acquisire quella
sicurezza di base che è fondamentale perché possa poi sviluppare una personalità armonica.
Fin dai primi mesi di vita però, la presenza del padre come terzo individuo, al di fuori della coppia madre-figlio è importante per favorire la buona riuscita della simbiosi e il suo superamento. Il padre presente, infatti, dovrebbe saper sostenere la sua compagna e cogliere istintivamente il momento in cui ‘riaffacciarsi' nella coppia per favorire l'allentamento della simbiosi.
Anche per la madre infatti è importante la presenza del terzo che la aiuti ad uscire dalla coppia simbiotica con il figlio e ad affrontare senza timore gli aspetti depressivi che tale separazione talvolta comporta (perdita del territorio o dell'identità).
Per il figlio poi, la presenza del padre è indispensabile, verso la fine del primo anno, affinché possa distinguersi
dalla madre ed iniziare a percepirsi come individuo a sé.
All'età di un anno e mezzo, con la conquista della deambulazione e l'inizio del linguaggio, il bimbo diviene un'entità individuale separata. È allora che si pongono le premesse per il suo sviluppo psichico.
Nell'osservazione dei suoi comportamenti si riscontra, dopo i sedici e i diciassette mesi, la disponibilità a passare periodi sempre più lunghi di tempo lontano dalla madre. Per questa ragione la figura paterna è particolarmente importante. Spostando lo sguardo sul padre il figlio si sente attratto dalla sua energia così diversa da quella materna ed inizia a stabilire con lui una nuova relazione, consolidando la sua relativa autonomia dalla madre.
Se per la figlia è questa la prima forma di 'amore' per il maschile, per il figlio maschio si tratta invece di un amore per identificazione (del tipo: "da grande sarò come lui") che lo spinge verso il padre, in una relazione di tipo non competitivo.
Proprio l'amore per il padre gli dà una gioia infinita e lo salva dalla regressione simbiotica.
Si ritiene che all'età di circa tre anni e mezzo, l'amore per identificazione nei confronti del padre, cominci a dissolversi.
Finora i figli hanno vissuto soprattutto nei confronti della madre, ma anche nei confronti del padre, un amore relativamente indisturbato. Le tonalità dell'amore assumono connotazioni di tipo competitivo, della bimba nei confronti della madre e del bimbo nei confronti del padre. Le energie sessuali si potenziano e si sviluppa un sentimento di rivalità che ritornerà, potenziato, nella pre-adolescenza.
Dai cinque ai dieci anni il bambino vive un periodo relativamente calmo. La sua attenzione inizia a rivolgersi al di fuori della famiglia, alla società. Dal punto di vista della psicoanalisi è soprattutto il padre che ha il compito di guidarlo in questa direzione, aiutandolo a sviluppare due funzioni psichiche complementari: di proibizione ("quello che dovrei essere") e di aspirazione ("quello che vorrei essere"). La prima aiuta a formarsi una coscienza morale, ad interiorizzare i confini tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, ad assumere come propri quei ‘no' che provengono dal padre.
Generalmente il primo codice morale si forma sull'esempio dei genitori, ma soprattutto del padre. La seconda funzione, quella di aspirazione, spinge invece a superare quelle limitazioni intellettuali ed emotive che legano i figli alla famiglia.
Verso i dieci-undici anni inizia la pre-adolescenza. I ragazzi/e sentono un forte bisogno di condividere le proprie esperienze con i propri coetanei ed in particolare con gli appartenenti allo stesso genere. A questa età, con la sua presenza, fatta di gesti, parole e sguardi, il padre trasmette ai figli quella fiducia in se stessi che è indispensabile per affrontare la vita.
Alcune ragazze tornano ad amare intensamente il padre ed è quando cadono le difese nei confronti della tenerezza e del mondo emotivo, facendosi strada una forte attrazione per un'altra persona esterna alla famiglia, che cercano lo sguardo del padre, che le renda sicure della loro femminilità nascente, del loro carattere unico e fortemente personale.
Se invece il padre è assente o distratto, alla fine dell'adolescenza il fuoco della passione per l'altro, ma più in generale per la vita, si spegne e il figlio diventa triste e disorientato oppure depresso e dipendente (svalutato).
Ronald Rohner e Abdul Khaleque, analizzando 36 studi in cui sono stati coinvolti più di 10.000 soggetti provenienti da tutto il mondo, hanno scoperto che i bambini, in risposta al rifiuto da parte dei genitori, non solo tendono a sentirsi più ansiosi e insicuri, ma risultano anche più ostili e aggressivi nei confronti degli altri. Il dolore del rifiuto tende a ripresentarsi in età adulta, rendendo più difficile instaurare relazioni sicure e fiduciose con i loro partner.
I risultati di ricerche svolte in psicologia e in neuroscienze rivelano che le parti del cervello che vengono attivate quando le persone si sentono respinte sono le stesse che si attivano durante l'esperienza del dolore fisico. Rohner afferma: "A differenza del dolore fisico, le persone possono psicologicamente rivivere il dolore emotivo del rifiuto più e più volte per anni".
I risultati provenienti da più di 500 studi suggeriscono che i bambini sperimentano l'influenza del rifiuto da parte del padre come superiore rispetto a quello della madre.
L'amore paterno è fondamentale per lo sviluppo di una persona.
L'importanza dell'amore di un padre dovrebbe contribuire a motivare molti uomini ad essere più coinvolti nella promozione della cura del bambino. Inoltre, il riconoscimento dell'influenza dei padri sullo sviluppo della personalità dei propri figli dovrebbe favorire la riduzione dell'incidenza della atavica "colpa della madre" da sempre riconosciuta come totale fautrice di un cattivo sviluppo psicologico della prole. La grande enfasi sulle madri e sulle cure materne in America hanno portato a una tendenza inappropriata a incolpare le madri per i problemi di comportamento e di disadattamento dei bambini quando, in realtà, i padri spesso sono implicati maggiormente rispetto alle madri nello sviluppo di problemi come questi.
2. Percezione di inadeguatezza
La "Percezione di inadeguatezza" è quello che viene chiamato "Conflitto di svalutazione" che, in realtà è una composizione impropria, di natura psicologica più che biologica. È più opportuno parlare di adeguatezza, capacità.
Non è semplice rendere l'idea dell'inadeguatezza, perché per noi umani entra in campo un terribile male: il giudizio.
L'inadeguatezza percepita dall'animale non è sottoposta a giudizio di paragone rispetto ad un altro esemplare dello stesso animale. Se la leonessa non è in grado di raggiungere la zebra, il suo percepito di inadeguatezza non è vagliato dal giudizio di altre leonesse. Il percepito di inadeguatezza innescherà una catena di eventi che spingeranno l'intero corpo della leonessa ad esprimere una prestazione migliore, ma il tutto senza l'obbligo di fare bella figura agli occhi del branco. Non migliorerà il suo corpo e le sue prestazioni per zittire il giudizio delle altre leonesse, ma semplicemente per poter sopravvivere. Non punterà a migliorare il suo corpo per destare l'invidia nelle altre leonesse, come fanno molte umane.
Altro concetto di enorme importanza è dato dal fatto che l'inadeguatezza biologica non ha intromissioni psicologiche, tanto meno ha intromissioni virtuali o immaginarie o metaforiche. La percezione di inadeguatezza si lega ad eventi e situazioni reali legate al presente.
Ad esempio: percepire di non riuscire a trattenere, di non riuscire a raggiungere, di non essere in grado di resistere, di sopportare, di farsi carico, ecc. ecc.
Nel mondo animale il percepito di inadeguatezza si restringe quindi a ben poche tematiche ed al tempo presente.
Per quanto riguarda l'umano le cose sono alquanto più complicate e lo sono per la già accennata maledizione del giudizio.
Ma non va trascurata un'altra maledizione, che è quella della competizione, ovvero l'esatto contrario di cooperazione.
Poi c'è un'altra cosa da considerare: il bisogno indotto in assenza di bisogno reale.
Se per la leonessa di cui sopra, raggiungere la zebra è importante per placare i segnali della fame e quindi poter sopravvivere nel qui e ora, per un umano il raggiungere un obiettivo può essere innescato sia da un bisogno di fatto che da un bisogno fittizio, magari spalmato nel tempo. Ad esempio, una persona ha già tutto quello che gli serve per vivere, ma viene istigato e sfidato a raggiungere un altro obiettivo verso il quale non percepisce alcun bisogno, o potrebbe percepirlo in futuro, solo per ricacciare in gola il (presunto) giudizio di chi lo ha sfidato.
Entrano in campo entità psicologiche come possessività ("È mio, ne ho bisogno!"), orgoglio ("Io non mi piego!"), invidia ("Lui ce l'ha e io no"), gelosia ("È solo mio!"), arrivismo ("Devo essere il primo!"), opportunismo ("Devo sfruttare il momento"), avidità ("Ne voglio di più, non mi basta!"), esibizionismo ("Non possono non vedermi!") e via discorrendo, per i quali la persona può sviluppare un percepito di inadeguatezza e incapacità, senza che vi sia l'effettiva necessità biologica di conseguire un risultato di qualsivoglia genere.
Quando queste finte necessità (che lo sono a livello psicologico, ma non biologico) travalicano un certo limite (soggettivo) di contenimento, possono giungere ad interferire con il percepito biologico di soddisfazione ed equilibrio, inducendo l'avvio del programma biologico legato all'inadeguatezza. I fenomeni che ne derivano vanno a modificare la struttura corporea senza che vi sia una effettiva, oggettiva, evolutiva necessità biologica.
3. I tessuti del valore
Ma perché un organismo ha dovuto strutturarsi in modo da dover conseguire un risultato, quindi ad essere capace e adeguato a sostentare la propria esistenza?
È plausibile supporre che in tempi arcaici, gli esseri viventi fossero immersi in quelli che oggi chiamiamo "oceani primordiali". Esseri uni o pluricellulari che non facevano altro che esistere e tutto ciò che serviva giungeva loro in modo spontaneo. In altre parole non erano chiamati a fare alcunché per sopravvivere; il cibo giungeva alla loro bocca, insieme all'ossigeno, si replicavano in continuazione, insomma una vita di beata incoscienza dove tutto era disponibile e senza bisogno di sforzo alcuno per averlo.
Poi qualcosa è successo per cui tutto, o parte di, ciò che era disponibile e a portata di bocca, non lo era più. A costo di miliardi di vittime, è nata l'intenzione di sopravvivere, per cui non si poteva più attendere che il cibo giungesse alla bocca, ma occorreva andarselo a cercare e prenderlo. Si sono sviluppati gli organi della locomozione e i tessuti di sostegno e coesione (connettivo) che rispondevano a due semplici richieste: rimanere integri e coesi, e muoversi verso ciò che serviva per sopravvivere.
Quando questi esserini hanno cominciato a raggiungere dimensioni tali per cui il loro corpo si disgregava per l'azione stessa della gravità, è stato necessario sviluppare strutture di sostegno e protezione più efficienti ed efficaci ed è stato quindi il momento di sviluppare uno scheletro, dapprima di cartilagine, poi di osso.
La conquista della terra e l'indubbiamente intensa azione gravitazionale, hanno richiesto la genesi di strutture scheletriche che evitassero i collasso strutturale, ma soprattutto l'assenza delle correnti oceaniche hanno imposto ancora di più il miglioramento delle capacità locomotorie, per cui sono nate le strutture articolari, le strutture legamentose e tendinee ed un apparato muscolare molto sofisticato e intricato, che consentisse all'animale di muoversi e adattarsi alle condizioni terribili di vita terrestre.
Giunti ad essere organismi complessi, la semplice replicazione partenogenetica (produzione di cloni di se' stessi), non era più possibile, per cui si è resa necessaria la replicazione sessuale, ovvero l'unione di due esseri - maschio e femmina - che, mettendo in comune un gamete ciascuno, avviavano la produzione di uno o più nuovi esseri, frutto della cooperazione bio-riproduttiva. Ma per attrarsi l'un l'altro, maschio e femmina hanno dovuto mettere in campo forze attrattive che permettessero loro di "scegliersi" in ragione della massima possibilità possibile di riprodursi. Sono nati gli ormoni sessuali e tutto il corredo di modificazioni corporee e comportamentali che fanno si che il maschio cerchi di attirare la femmina e la femmina senta il "permesso" sessuale di concedersi.
Poter accoppiarsi e allo stesso tempo non cadere vittima dei predatori, ha reso necessario la costruzione di quello che si chiama "branco" o "clan", in cui il motto "tutti per uno e uno per tutti" ha trovato la sua massima espressione. Proteggersi e proteggere, riconoscere ed essere riconosciuti, integrare ed integrarsi, mescolarsi tra individui amici si è reso indispensabile.
Ma come riuscire a capire chi è amico e chi non lo è, in una epoca in cui non esisteva la comunicazione verbale?
E' nato quello che ora conosciamo come "sistema immunitario", strettamente legato al "sistema linfatico", che fanno si che l'individuo riconosca chi fa parte di se' e chi non ne fa parte, in un contesto in cui l'individuo è proteso a sostenere e consolidare un mega-individuo che si chiama "famiglia" e più in su "clan" e più in su "etnia".
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