La Biologia del distacco
5. Dipendenze
- Definizione: Dipendenza o necessità riguardante una sostanza, una attività o una relazione data la soddisfazione che ne deriva e dalla quale apparentemente non si può prescindere per poter vivere normalmente.
- Senso biologico: Recuperare, attraverso cose o comportamenti esteriori, qualcosa che si è perduto internamente. Non riuscendo a colmare il vuoto, l'atto viene ripetuto molte volte, fino a cadere nell'abuso di ciò. Le dipendenze sono sempre conflitti in relazione alla madre, la nostra prima forma di "dipendenza" e la più importante nella vita. Ciò a cui siamo dipendenti ci restituisce quell'amore, quel riconoscimento e quella protezione della mamma che abbiamo avuto e perso, o che non abbiamo mai avuto (nel qual caso la dipendenza è di solito più compulsiva). Tutte le dipendenze tentano di evitare il contatto con l'emozione soggiacente al conflitto. Per proteggerci creiamo una emozione succedanea che sembra colmare il vuoto, ma che termina con la dipendenza da quella sostanza o da quel comportamento.
- Conflitto: In generale: Protezione, mamma. Sempre in un contesto di "Fuggire dalla realtà" per timore di non riuscire ad affrontarla. Programma inconscio di morte e autodistruzione. «Non sono capace di affrontare una situazione»
Le dipendenze sono relazionate con il non-detto. Non avere il diritto o la possibilità di esprimersi.
In particolare:
- Dipendenza dal lavoro: Conflitto di abbandono. Credenza dall'essere ciò che si fa e necessità di riconoscimento "Mamma (o Papà) non mi ha riconosciuto. Necessità di giungere ad accordi. Conflitto di carenza affettiva. Necessita di dimostrare ai propri genitori che si è utili per qualcosa.
- Avarizia: Conflitto della riserva del boccone. "Se offro, rimango senza!"
- Dipendenza dal successo: Conflitto di Abbandono e riconoscimento. «Mamma mi ha abbandonato o non mi ha riconosciuto».
- Ludopatia: Abbandono e riconoscimento. Necessità di "guadagnare" l'amore di mamma. Credenza che il premio ci permetterà di liberarci dalle nostre necessità.
- Collezionismo: Svalutazione. Sentirsi incompleto, «Non servo», «Mi completo attraverso le mie collezioni». Conflitto con gli obiettivi.
- Ansia da prestazione: Svalutazione. Desiderio e necessità di dimostrare che si può essere i migliori in qualcosa.
- Dipendenza dall'informazione: Svalutazione. «Senza informazione sono nessuno». Conflitto di mancanza di riconoscimento.
- Dipendenza dal sesso: Conflitti di Abbandono. Necessità di tornare da mamma o babbo, di avere la loro protezione. Incapacità di darsi piacere. Non sono il prodotto dell'amore, ma del piacere, fui concepito nel peccato. O anche può essere l'intento di compensare la vita sessuale che i propri genitori avrebbero voluto, ma che non hanno potuto avere.
6. Alcolismo
- Definizione: Uso e/o abuso di alcool che provoca intossicazione. Può essere acuto, come nel caso di una bevuta occasionale, o cronico se risponde ad uno stato patologico dato dal continuo uso di alcool.
- Senso biologico: Fuga da una realtà che si considera inaccettabile. L'iniziazione all'alcool avviene quasi sempre in occasione di feste e situazioni nelle quali di per se c'è molta allegria. Questo può generare la convinzione che l'alcool possa restituire quel clima di festa e allegria che la vita reale e naturale non fornisce. Inoltre l'alcool libera la persona, poiché inibisce le funzioni della regione cerebrale frontale, il che causa una diminuzione della memoria, della capacità di concentrazione e di autocontrollo.
- Conflitto: Conflitti di protezione e con mamma. Paura ad essere ferito un'altra volta e di non essere protetto. Anche paura della solitudine e forma abbreviata per contattare il divino.
Conflitto di separazione dal padre. Modo di giungere al padre (testa) attraverso la madre (liquidi).
Conflitto di fuga dalla realtà per poter dimenticare.
Modo di esprimere le verità che si devono nascondere alla famiglia.
Intento di uniri papà e mamma.
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7. Tossicodipendenza
- Definizione: Dipendenza dal consumo di sostanze psicoattive o farmaci.
- Senso biologico: Le droghe offrono una configurazione diversa delle percezioni e quindi un accesso ad una realtà nuova. Fuggire da questo mondo verso uno che posso comprendere meglio.
- Conflitto: Non mi piace la realtà senza l'amore di mamma e fuggo da lei e da questo mondo che non capisco.
- Cocaina: Senso biologico: ottenere potere personale (interno) da una sostanza (esterna). Stimolare il centro della ricompensa mesolimbico per ottenere così il permesso per realizzare certi compiti, movimenti o azioni.
Conflitto di paura ad interagire socialmente, legato ad un desiderio di farlo e non saperlo fare.
Conflitto con un padre che sovrasta, che schiaccia, che non protegge e svaluta. «Voglio rimpiazzare mio padre», «Odio mio padre». - Marijuana: Droga della "madre" (Maria, esce dalla "madre" terra e si consuma in forma naturale, senza procedimenti). L'utero secerne un cannabinoide (anandamina) che se non viene raccolto dall'osso, ci sarà una gravidanza fallita. Siamo vivi grazie al cannabinoide e la marijuana contiene cannabinoide. L'adolescenza rappresenta una seconda nascita.
- Hashish: Conflitti legati all'assassinio ed alla guerra.
- Eroina: Da' l'impressione di grande energia e ottimismo. Conflitto dell'"eroe", che non sono. Conflitto di separazione dal sesso.
- Morfina: Non sopporto le sofferenze.
- Cocaina: Senso biologico: ottenere potere personale (interno) da una sostanza (esterna). Stimolare il centro della ricompensa mesolimbico per ottenere così il permesso per realizzare certi compiti, movimenti o azioni.
In uno dei miei primi ricordi cerco di svegliare un parente senza riuscirci. Ero solo un bambino, quindi non capivo perché, ma da grande ho capito che in famiglia c'era un problema di tossicodipendenza, inclusa quella successiva da cocaina.
Ci ho pensato molto ultimamente, anche perché ricorre il centenario da quando abbiamo iniziato a bandire le droghe in America e Inghilterra per poi imporre quel divieto al resto del mondo. È il centenario di quando abbiamo preso questa decisione fatale di prendere i drogati, punirli e farli soffrire, perché credevamo che questo li avrebbe incentivati a smettere.Ma iniziamo da quello che pensiamo di sapere, che io pensavo di sapere. Pensiamo a questa fila centrale.[...] Immaginate di assumere eroina per 20 giorni, 3 volte al giorno. [...] Immaginate di farlo, ok? Cosa succederebbe? Ci hanno raccontato per un secolo una storia su quello che succederebbe. Poiché nell'eroina ci sono delle sostanze chimiche che creano dipendenza, pensiamo che, prendendola per un po', il nostro corpo ne diventerà dipendente, ne avrà fisicamente bisogno e alla fine di quei 20 giorni sarete tutti eroinodipendenti, giusto? Questo è quello che pensavo.
[...] finché non incontrai Bruce Alexander, un professore di psicologia di Vancouver che ha fatto un esperimento incredibile e credo possa davvero aiutarci a capire la questione. Il professor Alexander mi ha spiegato che l'idea, la storia che abbiamo in testa sulla dipendenza, deriva in parte da una serie di esperimenti fatti all'inizio del XX secolo.
Sono esperimenti semplici, potete farli a casa stasera se vi sentite un po' sadici. Prendete un ratto, lo mettete in gabbia e gli date due bottiglie d'acqua. Una è solo acqua, l'altra è acqua addizionata con eroina o cocaina. Il ratto preferirà quasi sempre l'acqua drogata e quasi sempre si ucciderà piuttosto rapidamente. Ecco, questo è come pensiamo che funzioni.
Negli anni '70 il prof. Alexander guardò questi esperimenti e notò qualcosa. E disse: "Ah, noi mettiamo il ratto in una gabbia vuota, non ha niente da fare a parte drogarsi. Proviamo qualcosa di diverso". Quindi costruì una gabbia che chiamò "Rat Park" e che è sostanzialmente il paradiso dei ratti. Un sacco di formaggio, palline colorate, tantissimi tunnel. Cosa fondamentale, avevano tanti amici. Potevano fare sesso a volontà. E avevano anche le due bottiglie di acqua normale e acqua drogata. Ecco la cosa affascinante: nel Rat Park, ai ratti non piace l'acqua drogata. Non la usano quasi mai. Nessuno di loro la usa compulsivamente. Nessuno di loro va in overdose. Si va da un 100% di overdose quando sono isolati a uno 0% quando vivono delle vite felici e connesse.Quando vide tutto questo il prof. Alexander pensò: "Forse questo vale per i ratti, che sono abbastanza diversi da noi". -- Forse non tanto diversi quanto vorremmo ma insomma... -- Fortunatamente c'era anche un esperimento umano, con lo stesso identico principio nello stesso identico momento. Si chiamava Guerra del Vietnam. In Vietnam il 20% delle truppe americane usavano un sacco di eroina, e se guardate le notizie dell'epoca, negli USA erano preoccupati perché pensavano: "Mio Dio, avremo centinaia di migliaia di tossici per le strade degli Stati Uniti quando la guerra finirà". Aveva senso.
Questi soldati, che facevano uso di eroina, vennero seguiti a casa. Gli Archivi di Psichiatria Generale fecero uno studio dettagliato e cosa successe a questi soldati? Non andarono in riabilitazione né in astinenza. Il 95% di loro aveva semplicemente smesso.
Se si crede alla storia delle sostanze che creano dipendenza questo non ha assolutamente senso ma il prof. Alexander pensò che poteva esserci una storia diversa sulla dipendenza. E se la dipendenza non fosse determinata da quelle sostanze? Se dipendesse dalle nostre gabbie? E se la dipendenza fosse un adattamento all'ambiente che ci circonda?
Nei Paesi Bassi c'era un altro professore, Peter Cohen, che disse: "Forse non dovremmo neanche chiamarla dipendenza. Forse dovremmo chiamarlo legame".
Gli esseri umani hanno un bisogno innato di legami, quando siamo felici e sani ci leghiamo e ci connettiamo a vicenda; ma se non ci si riesce, perché si è traumatizzati, isolati o messi al tappeto dalla vita, ci si legherà a qualcosa che ci dia un senso di conforto. Questo può essere il gioco d'azzardo, la pornografia, può essere la cocaina può essere la cannabis, ma ci si lega a qualcosa perché è la nostra natura. È ciò che vogliamo come esseri umani.
[...]
8. Cosa fare?
Se una separazione, un distacco, una perdita di contatto hanno lasciato il segno sull'organismo (inteso come psiche, cervello e organo/tessuto) può significare due cose:
- l'evento è stato di grave e intenso impatto;
- l'ultimo evento è stato la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Rimediare ai danni di molte separazioni è affatto semplice o facile, spesso è impossibile per svariate ragioni; la più grave delle quali è la morte di una persona cara.
Si dice che bisognerebbe sostituirla, ma non si può sostituire nulla con qualcosa di uguale, non è semplice così.
Si dice anche che bisognerebbe cambiare il proprio atteggiamento mentale, ma se è proprio la sfera mentale ad essere colpita (Alzheimer) cosa si può di fatto cambiare?
Certamente non è il considerare ogni manifestazione della separazione come un evento negativo, tentando da fuori di correggere ciò che ha un senso per quella specifica persona.
Che piaccia o meno le patologie anche gravi, come quelle neurodegenerative o le tossico-dipendenze, sono funzionali alla persona, ma non ai parenti, alla società, alla compassione ed alla affettività. Si assiste così al fenomeno incredibile e non biologico di voler curare o escludere persone che, in realtà, cercano di adattarsi alle proprie percezioni derivanti dalla vita che "sentono" attorno a se; percezioni del tutto legittime e di fatto non criticabili. Migliaia di emarginati - perché non più in grado di connettersi al mondo - finiscono i loro giorni in quella percezione che li ha spinti nell'oblio: il distacco, la separazione
Il conflitto biologico è in se un fenomeno propulsivo e non una cosa negativa, le cose cambiano proprio in quella frazione di tempo e spazio che va dall'evento shoccante e il soccombere. Se la soluzione è quella di chiudersi al mondo, vissuto come ostile o invivibile, la soluzione biologicamente più adeguata è quella di perdere le memorie di tanto dolore e iniziare a comportarsi e vivere come sembra più conveniente. Se la mancanza di amore, riconoscimento, accettazione, ruolo e partecipazione sono apparentemente incolmabili, una risposta può essere attaccarsi a qualcosa, ad un comportamento, ad una elite, a qualcosa che ci consenta comunque di vivere.
È almeno strano notare come la dipendenza da stupefacenti sia criminalizzata, mentre la dipendenza da farmaci sia incentivata.
La vicinanza aiuta, la tolleranza aiuta, l'assenza di giudizio aiuta, lasciare che la Natura faccia il suo ruolo aiuta, ma non ho detto che sia facile o semplice; ogni caso è unico e non esiste una ricetta magica, o un farmaco, o una terapia efficace per tutti. Quindi non so cosa scrivere in merito.
In realtà credo che la cosa più utile sia quella di seguire il pensiero buddhista del "non-attaccamento" che non significa non-amare. Sarebbe importante coltivare tante relazioni vere, in modo tale che non si è mai nella condizione di essere legati emotivamente ad una sola persona, o cosa o animale, perduti i quali si è in balia della tristezza, della rabbia, della morte.
Prepararsi naturalmente a perdere ciò che si ama - amare è anche lasciare andare.
Anche questo non è semplice o facile